Ho l’impressione, scendendo l’Andriyvka, di trovarmi nel cuore dell’Europa anche se so benissimo che sono nel profondo dell’Europa estremo-orientale. Eppure quel che mi assale non sono soltanto suggestioni, ma riflessioni sulla immensa dimenticata eredità europea che soltanto ormai in luoghi lontani e riposti si rinviene come consegnataci dalla memoria storica o da libri letti tanto tempo fa, prima che l’omologazione culturale e comportamentale distruggesse giacimenti spirituali che disperiamo ormai di raccattare. Kiev è uno di questi giacimenti. E non soltanto perché la «russità» è nata qui e quasi nessuno a Ovest lo ricorda; perché tra queste pianure attraversate da grandi fiumi è fiorita la cristianizzazione di una considerevole parte di mondo estesa fino alle radici lontane dell’Europa, laddove l’Asia si tocca e un nuovo universo prende forma, agli estremi limiti della Siberia, quasi lambendo le Isole Kurili.
Non sapevano Cirillo e Metodio, santi esploratori dell’anima e avanguardie dell’evangelizzazione, che in questi luoghi la memoria della loro opera sarebbe stata segnata da centinaia di chiese dalle cupole dorate, da un numero imprecisato di silenziosi monasteri nei cui cortili giungono le nenie ortodosse di salmi che arrivano a situarsi nel petto dell’ascoltatore occasionale proiettato davanti alle iconostasi e alle immagini dorate e sublimi della cristianità trionfante, della Bellezza pura come il cielo ucraino quando il vento lo sgombra dalle nuvole per specchiarsi sui campanili dei templi che nessun barbaro, neppure quello sovietico, ha mai pensato di abbattere fermandosi di fronte al mistero della sacralità di luoghi dove le ideologie si infrangono e le ambiziosi abiette delle volontà di potenza diventano ceneri che la fredda tramontana si porta via annegandole nelle acque del Dniepr.
La chiesa Andreevskaya è forse il simbolo, seppur meno sontuoso, certamente più eloquente di questa Europa profonda che nelle nostre latitudini è sbiadita come alberi nella nebbia. Il luogo dove venne edificata non fu scelto a caso. Le cronache ortodosse raccontano che su questa collina l’apostolo Andrea pronunciò le profetiche parole: «Li vedete questi monti? Su questi monti risplenderà la Grazia di Dio. Ci sarà una città grande, e Dio ci erigerà tante chiese». La leggenda aggiunge che Andrea su quell’altura pose una croce di legno. E mille anni dopo lì venne edificata una modesta cappella di legno chiamata Andreeevskaya, custodita da un annesso modesto convento di suore. Poi venne il tempo del tempio barocco che esalta la missione di Andrea messaggero di Dio nella terra allora di nessuno. E Kiev divenne il centro della spiritualità e della cultura che ancora oggi incanta il viaggiatore occidentale per quanto è ordinata, luminosa, elegante, dignitosa in ogni suo quartiere, perfino in quelli più periferici.
Lasciando l’arteria principale, la Cresciatyc, dominata da palazzi imponenti e da edifici pubblici, dopo che ci si è inerpicati lungo via Volodymyrska, si apre, sontuoso, lo spettacolo di Santa Sofia, uno dei massimi monumenti sacri del mondo: è addirittura commovente. Costruito durante il regno del principe Yaroslav il Saggio tra il 1017 e il 1037, il complesso riassume lo spirito slavo contaminato dal cristianesimo e da questi soggiogato. Resta il mistero della bellezza che dei barbari evidentemente ispirati riuscirono nel corso dei secoli, grazie a continui rifacimenti, a trasferire in strutture di tale religiosità da avvertire una sorta di estraneazione che porta fuori dal tempo, che immiserisce pensieri e parole di fronte alla musica del silenzio, un’armonia sublime che si ascolta soltanto con il cuore. E il mormorio dei religiosi accompagna l’estasi di fronte al «Muro Indistruttibile» nel cui centro domina la Santa Madre di Dio, raffigurata in un mosaico dell’XI secolo, che protegge Kiev.