Ecco, una città antica, complessa, orientale e occidentale allo stesso tempo, da oltre mille anni è sotto il manto della Vergine. E non lo nasconde. Lo esibisce nel suo monumento più celebre. La spiritualità d’Oriente ne esce integra come le cupole mai lasciate in abbandono, neppure quando i senzadio irruppero nella capitale di una «nazione» (perché tale l’Ucraina si è sempre considerata) la cui vocazione umana era quella di sfamare il mondo circostante e riempire l’anima dell’ammirato splendore della fede. Fu per questo, forse, che un delinquente georgiano, già prete, buttata alle ortiche la tonaca, contro questa terra fertile spiritualmente e fruttuosa lanciò quella bestemmia che nessuno ricorda, che non si vuole ricordare: l’Holodomor, la carestia programmata, il progetto che affamò milioni di esseri umani molti dei quali sopravvissero grazie alla fede e a poche patate.
Anche questo oggi è l’Ucraina, l’Estrema Europa dove la resurrezione civile non è stata vissuta come un miracolo, dopo la dominazione sovietica, ma piuttosto come la naturale prosecuzione della profezia di Andrea il Santo che lì si fermò illuminando le tribù che vagavano sulle rive del Dniepr. Quando m’inoltro nei sacrari di Kiev, in particolare nella Lavra di Kyevo-Pecersk, uno dei più sublimi monasteri che ho visitato alla ricerca delle mie radici e talvolta della mia anima smarrita, non posso fare a meno di pensare che tra queste colline si snoda una continua e forse impercettibile per i residenti festa spirituale, tanto l’atmosfera è densa di suggestioni che rimandano a una certa immagine dell’Europa ormai difficilmente rinvenibile altrove. Direi come Ernest Hemingway di Parigi, «la festa è sempre con te».
A Kiev fino a qualche tempo fa si respirava questa levità gaia contrastante con la cupezza di un Occidente che ha smarrito se stesso. Eppure in questo luogo colorato l’incontro tra Oriente e Occidente è quanto mai percepibile. Saranno le geometrie urbane, gli arredi di una città senza tempo, le commistioni tra antico e moderno che s’inseguono, le contaminazioni della memoria con l’effervescenza del presente, gli occhi profondi delle ragazze ucraine che affollano la Cresciatyc e il vento che scompiglia i loro capelli, ma è sorprendente come a Kiev, nell’Estrema Europa i suoni della mia Europa li abbia avvertiti molto di più che nelle metropoli senz’anima dove vago disincantato cercando nell’Estremo Occidente i segni di una vitalità che ormai dispero di trovare.
Adesso Kiev sembra aver perso la sua anima. Guardo le immagini che le televisioni di tutto il mondo propongono e mi smarrisco, fatico a ricordare la città che ho amato ben al di là delle mie previsioni prima di visitarla, conoscerla, guardare la sua gente fiera capace di essere occidentale ed orientale ad un tempo. E mi chiedo come sia potuto accadere che il “mondo libero” abbia trascurato quell’isola di dolore placato che è l’Ucraina. Non saranno le sanzioni a placarla e neppure i fiori sui troppi cadaveri che punteggiano le strade del centro dove fino a qualche tempo fa s’inciampava nelle speranze che fiorivano tra i ragazzi e le ragazze di Maidan e della Cresciatyc, sorridenti mentre sorseggiavano un birra ascoltando rock europeo.