ROMA – I filosofi la chiamano “Eterogenesi dei fini” e si determina quando pensando di raggiungere un risultato, si perviene invece al suo opposto, così è successo a Beppe Grillo con la proposta di giuria o di tribunale popolare, incaricato di scoprire la “Verità ” e di far uscire a capo chino, per scusarsi, direttori e giornalisti.
Per la verità laddove hanno funzionato i tribunali del popolo e quelli speciali, l’Italia ha conosciuto quelli dei brigatisti e del fascismo, non hanno mai prodotto l’esaltazione della verità , ma il suo asservimento al capo o alla banda di turno.
Questo tipo di tribunali sarà meglio lasciarli negli archivi degli orrori del novecento. Grillo, tuttavia, sbaglia anche quando, a sostegno della sua tesi, invoca la mediocre posizione occupata dall’Italia nelle graduatorie internazionali in materia di libertà di informazione. Quella posizione, infatti, è determinata da nodi storicamente irrisolti quali la mancata soluzione del conflitto di interessi, la debolezza delle normative anti trust, e l’invadenza dei governi e dei partiti nelle nomine del consiglio di amministrazione della Rai e delle Autorità di garanzia del sistema dell’informazione.
A questi temi, negli ultimi anni e in modo crescente, si sono aggiunte le minacce contro i cronisti da parte di mafiosi e corrotti, non pochi sono stati e sono costretti ad una vita “sotto scorta”, dove non arrivano le minacce di tipo tradizionale si utilizzano le cosiddette “querele temerarie”, richieste di risarcimenti milionari scagliate contro il diritto di cronaca con l’unico obiettivo di ostacolare la ricerca della verità .
L’aggravarsi di questa situazione ha determinato l’ulteriore discesa dell’Italia nei rapporti internazionali. La proposta di Grillo, per queste ragioni, avrebbe un solo effetto: far retrocedere l’Italia dopo il centesimo posto. Chiunque sia davvero interessato alla salvaguardia dell’Articolo 21 della Costituzione avrebbe il dovere di chiedere al Governo e al Parlamento di sciogliere questi nodi e di dimostrare con i fatti e con il voto il proprio amore per la libertà di informazione.
A questo fine non servono certo le proposte, avanzate anche in sede governativa, di mettere sotto tutela la rete con il pretesto della pur legittima guerra contro le “bufale”.
A meno che Grillo volesse solo distrarre l’attenzione di tutti dalla tardiva svolta garantista in materia di avvisi di garanzia e buttare così la palla in tribuna, forse ci è riuscito, ma lo ha fatto nei peggiori dei modi, usando modi e toni tipici dei momenti più tristi della storia repubblicana e forse anche dell’avanspettacolo.