
Dopo la Marcia su Brescia, sembra scongiurata quella che doveva essere, come ha raccontato Lucio Fero su Blitz, anche la Marcia su Milano.
Come ha scritto Paola Di Caro sul Corriere della Sera, si è potuto evitare, dopo un po’ di travaglio, “il pericoloso e imbarazzante incontro dei gruppi parlamentari a Milano, lunedì, a pochi metri dal Palazzo di Giustizia dove Ilda Bocassini terrà la sua requisitoria contro Berlusconi nel processo Ruby“.
Meglio così. Dopo aver sistemato I giudici di Brescia che hanno osato condannare il capo per reati ordinari, i marciatori si sarebbero ritrovati a Milano per contestare la signora Boccassini,che, a differenza, del Parlamento italiano non ha creduto alla fiaba del vecchio zio egiziano, dell’anziano italiano e della fiammiferaia minorenne”.
Ma la sostanza del problema non cambia.
Altrove il tutto si sarebbe risolto con le dimissioni del reo e con le scuse del partito di appartenenza.
Da noi no, perché l’anziano signore non è il segretario, ma il proprietario sia del partito, sia di un impero mediatico.
Così chi dovrebbe dimettersi invoca le dimissioni dei suoi giudici.
Di fronte a questo spettacolo le istituzioni hanno reagito in modo debole, quasi impercettibile.
Il vice presidente del Consiglio Angelino Alfano ha marciato contro i giudici, ma nessuno ha chiesto le sue dimissioni, perché la governabilità viene prima del rispetto della Costituzione e del decoro repubblicano.
Naturalmente questi silenzi avranno una conseguenza.
Da oggi qualsiasi appello ad abbassare i toni sarà considerato quanto meno superfluo.
Sarà bene che questore e polizia si attrezzino, perché, da oggi, ogni condannato potrebbe rivendicare diritto a manifestare contro il suo giudice.
Perché mai dovrebbe essere negato loro quello che è stato concesso ad un singolo imputato condannato, sia pure eccellente?
Il presidente Letta che ha riunito in abbazia la squadra di governo “per fare spogliatoio”, già che si trova in un luogo sacro, chieda ai marciatori di recitare almeno l’atto di dolore e di fare una pubblica penitenza, anche se, da laici, avremmo preferito che procedesse a dimissionare, senza se e senza ma, il suo vice, nonché ministro degli Interni.
