ROMA – La Corte di Cassazione ha deciso di rinviare alla Corte d’appello la decisione finale nel processo sul cosiddetto rogo della Thyssen, nel quale presero la vita 7 operai.
La Corte non ha contestato l’impianto accusatorio, ma ha chiesto una rimodulazione delle pene a carico dei dirigenti accusati di omicidio colposo e di omessa vigilanza.
Non vogliamo neppure entrare nel merito della decisione, per altro sofferta e complessa, ma non possiamo chiudere occhi e orecchie di fronte alle grida disperate dei familiari che, da anni, attendono verità e giustizia.
Le sentenze, ovviamente, non possono e non debbono mai piegarsi alle esigenze di parte e neppure alla sacrosanta rabbia dei familiari delle vittime, altrimenti lo stato di diritto avrebbe decretato il suo suicidio.
Quello che invece non si può ignorare è il rischio che una parte degli imputati possa cavarsela a colpi di prescrizione, magari utilizzando quelle norme ad personam volute proprio a tutela di alcuni imputati “Eccellenti e di rispetto”.
Proprio perché crediamo nella autonomia della giustizia e abbiamo orrore delle sentenze imposte dalla piazza o dai sondaggi, vogliamo sperare che il rischio prescrizione sia solo un rischio teorico e che non sarà questa la strada per portare a compimento un processo di questa delicatezza.
Decida la Corte d’Appello quello che riterrà giusto, ma non si mandino al “rogo” il diritto alla verità e alla giustizia e lo stato di diritto.
Una eventuale prescrizione, anche solo parziale, avrebbe il disgusto sapore di un insulti postumo persino alla memoria di Giuseppe Damasi, Rosario Rodinò, Bruno Santino, Antonio Schiavone, Rocco Marzo, Angelo Laurino, Roberto Scola.