Giulio Regeni, un giovane ricercatore italiano, che stava completando una ricerca sul sindacato egiziano, il 25 gennaio scorso, esattamente alle 19,41, spariva per non ricomparire più.
Il suo corpo è stato ritrovato qualche giorno dopo, orrendamente sfigurato, martoriato per le torture subite, probabilmente dai servizi di sicurezza che, sempre in quella giornata, portarono a compimento un’ondata di arresti nei confronti degli oppositori del regime di Al Sisi.
I rapporti preparati da Amnesty segnalano il continuo ricorso alla carcerazione preventiva, agli arresti non motivati, alle torture e persino ai sequestri.
Da quel giorno le autorità egiziane hanno fornito risposte sempre diverse, non solo alle richieste dei familiari di Giulio, ma anche alle autorità e agli inquirenti italiani.
Una volta addossavano la colpa alle “Bande urbane”, un’altra al “Torbido mondo del vizio”, un’altra ancora si indicava la pista sentimentale, quindi toccava ai servizi deviati e felloni…
Di tutto, di più, pur di non mettere in discussione gli apparati dì sicurezza che, molto, probabilmente, lo avevano catturato, torturato, sino a vederselo morire sotto le mani, senza neppure rendersi conto di quali sarebbero state le conseguenze di questa brutale esecuzione.
Il governo italiano, sino ad oggi, non è riuscito ad ottenere le attese risposte; il temporaneo ritiro dell’ambasciatore, la nomina del nuovo, la minaccia di dichiarare l’Egitto paese non amico e non sicuro, con tutte le possibili conseguenze economiche, non hanno sortito effetto.
Forse l’Egitto sa che a quelle parole potrebbero non seguire le azioni, perché troppi sono gli intrecci d’affari che legano i due Paesi.
Il passare del tempo sembra aver fatto calare l’attenzione della pubblica opinione e rischia dì allentare l’attenzione istituzionale, politica e mediatica.
Per queste ragioni Amnesty, di intesa con i familiari di Giulio, ha deciso di promuovere una iniziativa che si svolgerá lunedì 25 luglio a Roma, al Pantheon; alle 19,41 si accenderanno le torce e le luci per ricordare i 180 giorni trascorsi da quel 25 gennaio.
Saranno centinaia di luci contro il buio che rischia di avvolgere e cancellare la memoria e di smorzare ogni tensione verso la ricerca della verità.
Da più parti si teme che possa ripetersi il copione già visto in Somalia, quando dopo l’ assassinio dei due giornalisti Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, le autorità di quel paese decisero di consegnare non il colpevole, ma un capro espiatorio.
La Somalia, impaurita dallo scandalo, consegnò alle autorità italiane il giovane Hashi Omar Hassan che, dopo 15 anni di carcere, è stato ora scagionato dai suoi accusatori.
Non era stato lui né il mandante, né l’esecutore, ma era stato prescelto per coprire i veri responsabili: gli intoccabili della Somalia di allora e i loro complici italiani.
Per questo i genitori di Giulio, persone di rara dignità e coraggio, non hanno intenzione di alzare bandiera bianca, di accettare mezze verità e finti colpevoli, anche per questo meritano tutto il sostegno e la solidarietà di chi ancora pensa che il volume degli affari tra due nazioni non possa cancellare il rispetto dei più elementari diritti umani e civili.