“Dovete smetterla di parlar male dell’Iran, non dovete scrivere falsità sul mio conto…”, così si è espressa Sakineh Ashtiani, condannata a morte mediante la lapidazione, e trascinata davanti alle telecamere dai suoi carcerieri.
Ci auguriamo che questa macabra messa in scena possa almeno servire a salvarle la vita, o almeno ad ottenere un radicale cambiamento della pena, a sfuggire al boia e all’ergastolo. Se gli insulti ai suoi avvocati, ai giornalisti, a tutti noi che l’abbiamo sostenuta potranno evitarle le peggiori umiliazioni, ben vengano e quelle parole aggressive possano essere benedette.
Purtroppo non sarà così e le sorprese non finiranno con questa sorta di auto lapidazione messa in scena oggi, già perché si è trattato di un macabro rituale, di una forma di tortura decretata dal regime teocratico che domina in Iran.
Chi ha visto quel video avrà notato lo sguardo fisso e impaurito di Sakineh, i toni volutamente forzati, la scenografia paramilitare, gli amorevoli angeli custodi ai lati. Se qualcuno avesse avuto ancora dei dubbi sulle violenze fisiche e morali subite dalla donna ne ha avuto conferma guardamdo quello che avrebbe dovuto essere il video della riabilatazione dei suoi giudici e della contestuale condanna di chi ha osato contrastare quella sentenza, nel mondo ma anche in Iran.
Per il regime è stata una prova di forza e di debolezza insieme, perché le parole di Sakineh sono apparse estorte con le tenaglie e con il fuoco, una sorta di lapidazione mediatica ha sostituito quella reale, e non c’è dubbio che quella sostanziale sarebbe stata peggiore, sicuramente per lei.
Sarà bene non dimenticare che nelle carceri iraniane ci sono altre 15 persone in attesa di lapidazione e altre 16 condannate a morte e tra questi 12 militanti curdi, i più attivi nella lotta contro il regime.
Per non parlare degli scrittori, dei registi, dei giornalisti detenuti per aver dissentito, per aver partecipato alle manifestazioni di protesta in occasione delle ultime consultazioni elettorali.
Tra loro c’è il regista Panahi, già vincitore, del Leone d’oro a Venezia con il film ” Il Cerchio” dedicato proprio alla denuncia sullo stato della condizione della donna in Iran. Gli sono stati inflitti 6 anni di carcere e 20 anni di interdizione da ogni forma di attività intellettuale e culturale. In pratica lo hanno condannato alla lapidazione cerebrale.
Dal suo carcere, il regista si trova ora agli arresti domiciliari in attesa del processo di appello, ha scritto agli amici del cinema europeo e a quanti stanno reclamando la sua liberazione nel mondo, per chiedere di non spegnere i riflettori, di alimentare la pressione internazionale, di incalzare i governi europei affinché non facciano finta di nulla e sollevino sempre e comunque il tema dei diritti negati e delle libertà cancellate.
Ci associamo al suo appello, anche perché non si può sempre oscillare tra la tentazione di esportare la democrazia sulle canne dei fucili, vedi Iraq e Afghanistan, e il desiderio di far soldi sempre, comunque, dovunque, desiderio prevalente anzi quasi dominante .
Chiunque ne abbia voglia faccia sentire la sua voce scrivendo al sito del ministero degli esteri o alla ambasciata iraniana in Italia, sarà anche un modo per far capire che le parole negate alle Sakineh del mondo o i sogni negati ai Panahi iraniani e non solo, troveranno sempre e comunque donne e uomini che non intendono alzare bandiera bianca di fronte ai regimi, fondati sull’integralismo, sulla intolleranza, sulla censura.
[gmap]