Ma entro questi due/tre anni buona parte dello stock del debito italiano giunge a scadenza e va rinnovato, cioè è in questi due/tre anni che l’Italia deve trovare sui “maledetti” mercati qualcuno che le presta centinaia di miliardi di euro. Dunque l’Italia ha circa trenta mesi di tempo. Trenta mesi se comincia da domattina a rendersi più credibile e affidabile a chi presta denaro. Spendendo di meno, creando maggior ricchezza. Ogni mese perduto è un gradino, anzi gradone in cui la frana ingrossa e diventa valanga che non si ferma. Di questi trenta mesi la strategia del governo è quella di impiegarne una ventina, quelli in cui resta in carica, a fare il meno possibile. Altrimenti gli elettori si spaventano e si innervosiscono e Berlusconi e Alfano l’hanno spiegato con grande chiarezza: loro preferiscono rischiare con i mercati e non con gli elettori. Tra bancarotta e sconfitta elettorale per Berlusconi e il Pdl, Lega compresa, il male minore è il primo: è questa la furba incoscienza.
Che si manifesta, letteralmente, ogni volta che il premier apre bocca. Jean Claude Trichet, cioè la Bce, deve aver letto troppi giornali o guardato troppa tv, almeno secondo i parametri di Berlusconi. Che ha sentenziato: “I giornali e le tv danno un’immagine più negativa del reale”. Chissà quali tv guarda Berlusconi visto che Tg1 e Tg5 l’altra sera “informavano” che l’Italia è “solida” e spezzerà le reni ai mercati…Trichet, di certo per colpa della stampa estera, ha detto addirittura: “La crescita nell’area euro è in decelerazione”. Cioè non va bene e promette di andare peggio. Per cui qualcosa la Bce la farà: “una operazione supplementare di liquidità”, cioè comprerà un po’ di titoli di Stato di Stati che oggi il mercato non compra, tra cui i Btp italiani. E’ questa l’unica azione concreta, l’unica a cui il governo italiano si aggrappa.
Di contro salgono le chiacchiere, sono ore di autentica “Bolla”, quella del Grande Patto Sociale. Governo e parti sociali si sono incontrate e scambiati documenti ed ottime intenzioni: pareggio di bilancio, investimenti, diminuzione costi della politica, mercato del lavoro, privatizzazioni… Per il come e dove, il chi e il cosa…appuntamento a settembre. Altro che chiacchiera nella bolla del patto non c’è. E per una semplicissima ragione: il “Patto sociale” si fa se qualcuno ci mette qualcosa, di tasca sua. Quando “Patto” fu fatto nel 1992 le aziende accettarono e ci misero di loro una tassazione sull’impresa, i sindacati ci misero l’accordo sulle pensioni, il governo di allora accettò e ci mise il rischio di perdere le elezioni…E infatti nel 1994 le elezioni le vinse il Silvio Berlusconi del “meno tasse per tutti”.
Ora le parti sociali hanno poco da metterci se non una sorta di disperazione e il governo ci mette solo la voglia matta di non cadere e non far dispetto agli elettori. Quindi chiacchiere. Un vecchio adagio napoletano ammoniva: “Chiacchiere e tabacchiere di legno il Banco di Napoli non ne prende in pegno”. Era insieme una ferrea legge dell’economia e una comprovata esperienza di saggezza popolare. Un adagio che ha più di mezzo secolo di vita ma che è fresco e vitale come un neonato.