
ROMA – Che gli dici a uno/a che a fine mese “chiude”, porta a casa più o meno 1.500 netti? Gli dici che il suo lavoro ĆØ improduttivo? Che la sua attivitĆ ĆØ obsoleta, che non c’ĆØ ragione economica per il suo reddito? Gli dici che il lavoro che fa serve a poco e che non sa come si lavora nel mondo contemporaneo? Gli dici che gli mancano le competenze, insomma che non sa fare? Molto spesso ĆØ questo che potresti dire con la forza dell’evidenza a molti dei milioni di italiani che guadagnano più o meno 1.500 netti al mese. Ma come si fa a dirglielo a uno/a con redditi da sopravvivenza, quasi da fame? Non si può e giustamente non glielo si dice.
E’ pieno in Italia di redditi da sopravvivenza, quasi fame. Millecinquecento al mese per l’affitto o il mutuo, le bollette, la benzina, il cibo, il vestiario, i figli se ci sono…Non bastano, bastano solo se integrati da pezzetti di patrimonio familiari, sovvenzioni in denaro e/o merci e cose da parte di genitori e nonni, micro attivitĆ e micro redditi più o meno in nero. Milioni e milioni di italiani a 1.500 al mese e qui si parla dei redditi veri, non di quelli truccati delle dichiarazioni al fisco.
Ed ĆØ contemporaneamente pieno in Italia di milioni di stipendiati e di lavoratori autonomi e professionisti a reddito basso addetti a lavori inutili, fittizi, fantasma. Oppure impegnati in attivitĆ cruciali ed essenziali, ma ad esse impegnati senza letteralmente competenze e qualificazioni professionali adeguate.
E’ un doppio nodo scorsoio cui il paese ĆØ impiccato (e qui poco importa sapere se ci si sia impiccato da solo o sotto l’attenta guida dei suoi rappresentanti politici, professionali, sindacali…). Stipendi, redditi, milioni di stipendi e redditi di pura sopravvivenza, quasi da fame. Eppure milioni di stipendi e redditi…regalati. Regalati, erogati, percepiti a prescindere da produttivitĆ , utilitĆ sociale, competenze.
Ma che dici alle maestre d’asilo che assediano il Campidoglio perchĆ© non vogliono lavorare tre ore in più la settimana per continuare a percepire la quota accessoria del salario? Dici loro che ĆØ resistenza corporativa? Questo ĆØ ma loro ti sbattono in faccia la busta paga da 1.500, meno se si ĆØ precari/supplenti. E tu che dici, dici che il salario accessorio dei 24 mila dipendenti del Comune di Roma oggi ĆØ pagato senza corrispettivo lavoro? E dici quindi che i 1.500 si tagliano? Non puoi, non lo dici. Non si può tagliare a chi ha 1.500. E allora in qualche modo ci si accorda ad andare avanti più o meno come prima e il doppio nodo scorsoio si stringe ancora un po’.
Stipendi da sopravvivenza, quasi da fame per molti dei tre milioni e passa di lavoratori pubblici. Ma milioni di loro addetti a lavori inutili, procedure nocive e privi di competenze. Il pubblico impiego come isola maggiore nell’arcipelago delle incompetenze lavorative e professionali. Arcipelago la cui geografia comprende studi professionali, artigianato, piccola e media imprenditoria…E istituzioni quali il Parlamento e talvolta, non troppo di rado, le UniversitĆ .
Milioni e milioni di redditi quasi fame percepiti senza corrispettivo di lavoro utile, produttivo e competente. Il doppio nodo scorsoio di anno in anno stringe, prima o poi soffocherĆ e non perchĆ© lo dicono i “cattivi” del pianeta ma perchĆ© lo dice il buon senso e lo attesta la storia delle comunitĆ umane. E allora come si fa, come si dovrebbe fare?
Primo: tenere bloccati quegli stipendi da sopravvivenza, quasi fame. Il blocco degli stipendi degli statali non ĆØ una iattura, ĆØ una benedizione. O almeno lo sarebbe se fosse accompagnato da un fratello gemello: il pepe al sedere di quegli stessi stipendi in una parte variabile legata alla produttivitĆ , efficienza, riqualificazione professionale. Portare a 2.000 netti al mese e oltre chi fa funzionare in fretta e precisione la macchina dello Stato e lasciare a 1.500 chi continua a fare come prima.
Secondo: esaltare nel privato la contrattazione sindacale del salario a livello di azienda o distretto industriale e mortificare la contrattazione indifferenziata, generale e nazionale. Dunque premiare anche fiscalmente l’azienda che compra tecnologia, assume competenze. E favorire in questo tipo di aziende la crescita, massiccia e immediata del salario.
Terzo: una grande campagna nazionale di aggiornamento professionale. La cui organizzazione e gestione da sottrarre, per decreto se si potesse, alla politica locale e agli Ordini e lobby professionali. Si facesse sul serio, sarebbe da presentare alla Commissione Europea come una riforma-investimento il cui costo va scomputato dal tre per cento del deficit.
Quarto: un investimento, se le aziende avessero lungimiranza di bilancio e mercato, sui grandi mezzi di comunicazione, televisione in primo luogo. Un investimento pubblicitario ad hoc perchĆ© reti televisive, ma anche carta stampata e perchĆ© no anche chi vuole sa via web, offrano prodotti non “seri” e di “qualitĆ ” ma semplicemente di educazione, insegnamento, acculturamento. Insomma pubblicitĆ per chi fa trasmissioni, pagine, sezioni dove si apprendano nozioni e quindi competenze.
Quinto: obbligare le scuole, le UniversitĆ , l’intero sistema formativo e quindi anche quello della comunicazione di massa ad allevare, formare, istruire un ceto dirigente. Quello appunto dotato delle competenze generali e indispensabili. Le competenze perdute, abbandonate e neglette proprio nelle scuole e universitĆ e comunicazioni di massa: la capacitĆ di contestualizzare nello spazio e nel tempo, la capacitĆ di verbalizzare, la frequentazione con il complesso, la capacitĆ di concettualizzare, la capacitĆ di relazioni sociali…Insomma la competenza all’uso del pensiero. Il primo e ineludibile stadio per accedere alle competenze specifiche di ogni attivitĆ lavorativa e quindi di meritare finalmente con vantaggio di tutti un reddito non da 1.500 netti a fine mese.
Ma come si fa ad obbligare scuole, UniversitĆ , comunicazione di massa? Ci vorrebbe…ci vorrebbe nelle scuole, nelle UniversitĆ , nelle comunicazioni di massa un ceto dirigente acculturato e competente e dotato, disponibile alla religione civile appunto di un ceto dirigente: l’interesse generale. Ma come si fa a non vedere che questo tipo di ceto dirigente ĆØ come quel proverbiale coraggio: se non ce l’hai non te lo puoi dare. Con tutti i nostri guai ce l’avevamo qualcosa del genere in Italia. In piccolo ma ce l’avevamo…fino a 30 anni fa, più o meno. Poi la diaspora, il deserto, il trionfo dei clown, l’orgoglio manifesto dell’incompetenza elevata a virtù civile.
Con un corollario intrigante: quando il lavoro salariato produce plusvalore dice la sinistra, e non solo la sinistra, anche la ragione sottoscrive, si dĆ la possibilitĆ concreta e materiale dello sfruttamento del lavoro da parte del capitale. E quindi la sinistra politica e sociale sta dalla parte degli sfruttati. Ma quando alcune forme di lavoro salariato non producono plusvalore ma solo bassi redditi cosa ĆØ sinistra politica e sociale? Se ĆØ questione di poveri e povertĆ le religioni, anche quella islamica, sono meglio attrezzate a fornire reti di assistenza immanenti e trascendenti. Se ĆØ questione di difendere il basso reddito senza plusvalore, allora ĆØ difesa della rendita. Minima ma pur sempre rendita.
Ci sarebbe per la sinistra la questione e missione di favorire l’aumento delle risorse, della produzione di merci e servizi e della giustizia sociale attraverso cui merci e servizi vengono distribuiti e redistribuiti. Ci sarebbe…Ma c’ĆØ davvero una sinistra capace di sfilare il collo dal doppio nodo scorsoio di stipendi da fame…regalati?
