ROMA – A poco meno di una settimana dalla sua approvazione in Consiglio dei ministri la legge di stabilità è stata definita lunedì 21 ottobre dal sulfureo Brunetta: “Il Testo Ignoto”. Non ha tutti i torti il più molesto e saccente dei politici in circolazione: della legge di stabilità sono circolate in tre giorni sette “bozze”, ne circolano ancora e talvolta lo stesso Letta offre la netta impressione di non sapere o di non poter sapere con precisione di cosa sta dichiarando. Sette “bozze” e chissà quale lo stesso lunedì è stata inviata a Bruxelles, all’Europa, per l’esame. Lo stesso lunedì in cui Brunetta parla di “Testo Ignoto” qualcosa arriva a Bruxelles. Chissà cosa.
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I telegiornali e i giornali italiani raccontano questa storia dell’invio a Bruxelles come una fastidiosa formalità , un passaggio del testo di legge dal “ragioniere” Europa per aver il visto  e il bollo tondo. Non è così anche se l’Italia lo ignora e/o vuole ignorarlo. Le leggi di bilancio di tutti i paesi dell’Unione devono, per accordi e trattati sottoscritti, passere non solo all’esame ma anche passare l’esame della Commissione Europea. E’ questa che ha l’ultima parola. Ultima parola che non è ingerenza nei fatti nazionali, ultima parole che è stata data per trattati ed accordi ad autorità sovranazionale. Quindi, se la legge di stabilità italiana o di altro paese è troppo “furba” o chiaramente “farlocca”, l’Europa boccia e obbliga a scriverne un’altra. Ma l’Italia fa finta di nulla e il governo Letta sembra confidare nella politica della strizzata d’occhio tra Roma e Bruxelles. Calcolo molto astuto e forse anche un po’ farlocco.
Nel frattempo poiché il testo è “ignoto” per dirla alla Brunetta e poiché tanto andrà tutto riscritto da Camera e Senato e poichè di quel che dirà l’Europa è nazionale orgoglio dire chi se ne frega, sindacati, Confindustria e partiti, parti sociali e partiti politiche si portano avanti con il lavoro. Sommando alla grossa quel che chiede ed esige il Pdl (davvero niente tasse in più a partire dalla casa e tasse in meno anche senza copertura) con quel che chiede ed esige il Pd (più spesa pubblica, tanta spesa pubblica in più) si arriva a circa 10 miliardi. Dieci miliardi più di quelli che già non ci sono. Vanno poi aggiunte le rivendicazioni dei sindacati che scioperano contro la legge, le rimostranze e le avvertenze di Confindustria che già conteggia “porcate” fiscali e di spesa nella discussione parlamentare. Facciamo una dozzina di miliardi da trovare assolutamente.
Da trovare assolutamente senza che nessuno ce li metta. Perché se c’è una cosa su cui sono più o meno tutti d’accordo è che quella dozzina di miliardi non ce la deve mettere nessun gruppo o interesse sociale. Men che mai il gran partito della spesa pubblica fortissimo nel Pdl e fortissimo nel Pd e in Cgil non ti dico e nelle Regioni e Comuni imperatore e in Cisl e Uil mica ci scherzano e a destra e a sinistra, da Forza Nuova ai Centri sociali il Gran Partito del soldo pubblico non è mai straniero, anzi è sempre a casa sua. Una dozzina di miliardi in più da caricare su una legge già sbilenca e storta di suo che non osa, neanche si sogna, di abbassare davvero l’Irpef su lavoro e impresa, finge di togliere la tassa sulla prima casa, tratta la seconda casa come sfizio più che bene di lusso, penalizza pensionati ricchi e poveri, infligge bottarella fiscale al risparmio, insomma tasse in polvere e galleggiare. Una dozzina di miliardi in più da caricare su questa malferma zattera buona appunto solo per galleggiare. Per consentirne varo e navigazione a Bruxelles non basterà rispondere all’occhiolino di Letta, bisognerà far concorrenza alle tre scimmiette e diventare ciechi, sordi e muti.