E’ evidente che chi si diletta di questi passatempi ha tutto l’interesse a non essere “spiato” dai fotografi. Ma che c’entra tutto ciò con l’attività parlamentare e con la discrezione della quale è bene che gli onorevoli diano prova prima di pretenderla, per giunta in modo autoritario, dal pubblico e dai giornalisti? Il pubblico e i giornalisti devono cioè essere “non vedenti” o almeno miopi? Ma allora che razza di pubblico e giornalisti e fotoreporter sarebbero? Meri propagandisti e pubblicitari dei riti interni all’aula?
E poi francamente c’è un altro problema, del quale si parla troppo poco: tra gli eletti al Senato e alla Camera ci sono decine di giornalisti, per l’esattezza 61. Dopo gli 87 avvocati, 82 “dirigenti” non meglio specificati e i 76 imprenditori, noi giornalisti siamo la categoria che ha più eletti in Parlamento. E qui le considerazioni da fare sono due. La prima è che per ognuno di essi, se contrattualizzato, l’Istituto Previdenziale dei Giornalisti (INPGI) versa di tasca propria due anni di contributi per ogni anno passato in Parlamento, come del resto la legge prevede per ogni lavoratore diventato senatore o deputato. Motivo per cui questi colleghi potrebbero dare il buon esempio, in quest’epoca di crisi tronca, rinunciando per esempio alla regalia Inpgi anche se prevista dalla legge.
Seconda considerazione da fare: è senza dubbio scandaloso che questi magnifici 61 – tra i quali figurano nomi di spicco come Walter Veltroni e Massimo D’Alema, non abbiano protestato, neppure inarcando le sopracciglia, di fronte all’attacco contro “l’invadenza” dei fotoreporter e soprattutto di fronte alla inaudita pretesa di azzoppare i teleobbiettivi. Infine: perché prendersela con i fotografi quando spesso sono gli stessi parlamentari che con i telefonini scattano foto compromettenti per avversari e nemici per poi passarle ai giornalisti né più o né meno come per i gossip e le notizie?
Mi vengono in mente gli “agguati dei fotografi” in mari esotici a personaggi famosi in situazioni matrimoniali formalmente irregolari. Alle scandalizzate proteste dei benpensanti un famoso fotografo rispose con interviste nelle quali, pur senza fare nomi, spiegava che spesso sono gli stessi personaggi famosi a voler essere “colti in flagrante”, per trarne pubblicità o per provocare finalmente rotture con consorti o altri amanti. In effetti, è pensabile che uno o più fotografi si prendano la costosa briga di raggiungere – informati da nessuno – una lontana isola esotica con la speranza di trovarci un personaggio famoso in atteggiamento compromettente?
Gli onorevoli hanno qualcosa poco onorevole da nascondere? E’ un loro diritto, ma fuori del Tempio. Se non vogliono essere colti sul fatto stiano più accorti o evitino certe cose in aula, sotto gli occhi del pubblico, fotoreporter compresi. Quello di Mario Monti sarà anche un governo di tecnici, sotto l’ottima ala del presidente della Repubblica, ma il Parlamento è e rimane un luogo pubblico. Anzi: “il” luogo pubblico per eccellenza.