Chiusa la parentesi, veniamo ai segnali di flessione del mercato immobiliare nostrano che indicano, val la pena ripeterlo, non lo “scoppio” della bolla ma un progressivo “sgonfiamento”. Sono numerosi. In ordine sparso, si può innanzitutto citare il numero delle compravendite di abitazioni: sono state 869 mila nel 2006 e si prevede saranno circa 575 mila alla fine di quest’anno. Anche i permessi di costruzione di nuove case e di ampliamenti sono in forte calo: l’ultimo dato disponibile è quello del 2009: sono stati 160 mila contro i 305 mila del 2005. “Tout va bien quand le bâtiment va bien”, sostenevano i francesi. Oggi potremmo fare il verso ai cugini transalpini, “tutto va male perché le costruzioni vanno male”: si stima la costruzione di nuove abitazioni, rispetto a prima della crisi del 2008, sia calata del 40 per cento.
Secondo l’Ance il valore complessivo degli immobili residenziali italiani era di 4.954 miliardi di euro nel 2007, oggi è di 4.446 miliardi. Cinquecento miliardi di euro già andati in fumo. Luca Dondi, responsabile real estate di Nomisma, sostiene che c’è stato un rallentamento del mercato residenziale “che si è acuito a partire dallo scorso giugno” e che “il mattone oggi non ha prospettive di rivalutazione”. La maggior parte degli esperti del settore ripetono a ogni piè sospinto la parola magica: “repricing”. Tradotta in italiano significa che i proprietari di case e le società che hanno in bilancio immobili debbono decidersi ad abbassare i prezzi se vogliono far incontrare l’offerta con la domanda anziché allungare a dismisura i tempi delle compravendite.
Secondo l’ultima indagine periodica di Bankitalia, Tecnoborsa e Agenzia del Territorio, fra gli agenti immobiliari le attese di peggioramento del mercato superano quelle di miglioramento, rovesciando la situazione registrata nel trimestre precedente. Inoltre aumentano gli agenti che avvertono una diminuzione dei prezzi e quelli che segnalano l’incremento dei venditori secondo cui tali valori sono troppo bassi e dei compratori che, al contrario, li giudicano troppo alti. Infine si registra una riduzione di cinque punti percentuali dei nuovi mutui ipotecari rispetto alla rilevazione del trimestre precedente.
Quest’ultimo è un punto decisivo che potrebbe aggravarsi: le banche, infatti, alle prese con colossali problemi di aumento del proprio capitale e di liquidità, stanno stringendo i cordoni della borsa: riducono la concessione di mutui e hanno notevolmente aumentato i tassi (per i fissi si supera ormai abbondantemente il sei per cento), ciò che induce molti a rinunciare agli acquisti. Si contraggono, sostengono gli esperti, sia gli acquisti per “sostituzione” (cioè quelli di chi vuole cambiar casa per migliorare) che quelli per “necessità” (per la prima casa in ordine di tempo) che quelli per investimento (poiché c’è una prevalente attesa che i prezzi scendano ulteriormente e si preferisce mantenere la liquidità).
In questo quadro, cui andrebbe aggiunta la forte discesa delle quotazioni borsistiche delle società immobiliari, un ultimo fattore trattiene dall’investimento e deprime i prezzi: il timore di stangate. Reintroduzione dell’Ici sulla prima casa, patrimoniale, rivalutazione dei valori catastali: una tra queste misure, o una combinazione delle stesse, viene minacciata quotidianamente ed è assai probabile che presto verrà implementata, come ha annunciato Monti nel suo discorso programmatico. C’è da augurarsi che non si assommino (si tratta in tutti e tre i casi di imposte patrimoniali) e che non si esageri con i taglieggiamenti della più diffusa forma di risparmio degli italiani: il rischio, altrimenti, è che la crisi immobiliare si ripercuota pesantemente anche in Italia sia sui consumi e l’agognato sviluppo che sui conti delle banche e, di qui, sul debito sovrano. Sarebbe una cura da cavallo e soprattutto peggiore del male. Evitiamola.
