L’Alta Corte ha accolto le eccezioni sollevate dalla Corte dei Conti della Campania e del Lazio cui si erano rivolti un centinaio di ex presidenti di Cassazione, Corti d’appello, tribunali, Consiglio di Stato, Tar Lazio, Corte dei Conti, giudici militari, avvocati dello Stato e un ammiraglio. La Consulta ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 18, comma 22-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, come modificato dall’articolo 24, comma 31-bis, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 perché tali norme violavano apertamente gli articoli 3 e 53 della Costituzione.
All’indomani del deposito in cancelleria dell’importante verdetto la maggior parte dei commenti su giornali, radio, tv ed internet si è purtroppo incentrata nel criticare la sentenza della Corte Costituzionale riportando giudizi affrettati di uomini politici e sindacalisti che neppure l’avevano letta, creando ingiustificatamente solo confusione e fantasiose ipotesi scandalistiche tra i cittadini e contribuendo ad alimentare senza ragione un clima di tensione, quasi di odio sociale, del tutto fuori luogo.
Ma é davvero corretto commentare a vanvera sulla stampa una sentenza della Corte Costituzionale senza neppure averne letto l’articolata e ben argomentata motivazione, redatta dal professor Giuseppe Tesauro, ma aprendo bocca e dando fiato alle proprie tesi di comodo arrampicandosi sugli specchi?
A mio parere i giudici di palazzo della Consulta hanno, invece, dato ancora una volta dimostrazione di saggezza, buon senso, equilibrio ed equità, limitandosi ad applicare rigorosamente la Carta repubblicana ed infischiandosene delle pressioni politiche e di alcuni sindacalisti che, purtroppo, solo a chiacchiere dimostrano di tutelare effettivamente i propri iscritti.
Titoli giornalistici come quello: “sulle pensioni d’oro i ricchi non pagano mai”, ovvero: “Prelievo sulle pensioni d’oro illegittimo? I sindacati non ci stanno: “a pagare la crisi sono le fasce più deboli”, possono a prima vista fare effetto, quasi fosse uno scoop. Ma una volta ben analizzata la questione finiranno per ritorcersi come un boomerang contro chi ha scritto una simile congerie di sciocchezze, prive di qualsiasi valore giuridico.
Innanzitutto è assolutamente improprio parlare di “pensioni d’oro” di fronte a lavoratori dipendenti che hanno versato contributi previdenziali per 40-45 o addirittura anche per più di 50 anni!! Parliamo di contribuenti che hanno sempre puntualmente pagato le tasse senza evadere nulla. Si pensi, ad esempio, ad alti magistrati rimasti in servizio fino a 75 anni che abbiano versato contributi previdenziali per 50 anni all’ex INPDAP (ora INPS). Come si fa a definire “d’oro” la loro pensione, vista sia la ridotta aspettativa di vita, sia la perdita secca di 10 anni di contributi, tenendo conto che le pensioni degli statali non possono comunque essere calcolate su più di 40 anni di versamenti?
“D’oro” saranno semmai le baby pensioni, maturate in giovane età con pochissimi anni di contributi, o i vitalizi di molti parlamentari creati spesso per miracolo quasi dal nulla, grazie ad un’anomala interpretazione dell’art. 31 dello Statuto dei lavoratori in vigore da 43 anni che ha causato finora un buco nel bilancio dello Stato di almeno 6 miliardi di euro!
