Ma non possono assolutamente essere chiamate “d’oro” pensioni frutto di un lunghissimo periodo di lavoro subordinato coincidente il più delle volte con l’intera vita lavorativa. Usare questo termine appare quindi ingiusto, improprio e fuorviante.
In secondo luogo l’articolo 3 della Costituzione stabilisce che “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.” A sua volta il successivo art. 53 prevede che: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.
Sono parole di una chiarezza esemplare che anche chi non é laureato sarebbe in grado di interpretare facilmente. Quando la nostra Carta repubblicana indica il termine “tutti” sta a significare che nessuno – a parità di reddito dichiarato al fisco – può sottrarsi ad una contribuzione a favore dello Stato. E’ un principio basilare, quanto elementare, cui tutti – governo Letta-Alfano e Parlamento – debbono sottostare, evitando di prendere nuove analoghe decisioni sbagliate nei confronti dei pensionati.
Peraltro va ricordato che il comma 483 lettera E della legge di stabilità prevede un ulteriore blocco della rivalutazione monetaria ISTAT sulle pensioni superiori ai 38 mila 646 euro lordi l’anno fino al 31 dicembre 2014 (così come era già avvenuto nel 1998, nel 2008 e nel biennio 2012-2013) con una notevole perdita secca e irrecuperabile, ma anch’essa di dubbia legittimità costituzionale perché di fatto l’importo netto medio di queste pensioni é oggi inferiore ai valori di quattro anni fa.
Per quanto riguarda poi i liberi professionisti, giornalisti compresi, di età superiore ai 65 anni che da pensionati continuino a lavorare è in vigore da due anni l’obbligo di pagare una seconda contribuzione previdenziale alla Gestione Separata INPS o delle Casse privatizzate, INPGI compreso. Un obbligo imposto dal governo Berlusconi che appare anch’esso molto discutibile perché di fatto rappresenta un’ulteriore forma impropria di tassazione.
Ma torniamo al verdetto della Consulta.
I giudici, come detto, hanno stabilito che non si può colpire una sola categoria di contribuenti, cioè quella dei pensionati pubblici e privati (come erroneamente avevano, tra l’altro, sostenuto l’Avvocatura generale dello Stato e l’INPS), escludendo a parità di reddito tutte le altre.
Infatti la disposizione di cui comma 22-bis dell’art. 18 del decreto-legge n. 98/2011, convertito, con modificazioni, nella legge n. 111/2011 e successive modificazioni e integrazioni, recante l’introduzione di un’imposta speciale, ancorché transitoria («a decorrere dal 1° agosto 2011 e fino al 31 dicembre 2014») ed eccezionale («In considerazione della eccezionalità della situazione economica …») a carico dei soli «trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatoria», penalizzava ingiustamente tutti i titolari di pensioni – pubblici e privati, compresi i giornalisti iscritti all’INPGI – di importo superiore ai 90 mila euro lordi l’anno.
Per tale ragione si poneva in contrasto con il principio di parità di prelievo a parità di presupposto d’imposta economicamente rilevante. La disparità di trattamento non era quindi riferita alla posizione dei pensionati pubblici rispetto ai pensionati privati, come erroneamente sostenuto dalla Corte dei Conti della Campania, ma alla diversa e ingiustificata posizione dei pensionati pubblici e dei pensionati privati, pretermettendo tutti gli altri contribuenti italiani (lavoratori dipendenti pubblici e privati, manager, lavoratori autonomi, liberi professionisti, artigiani, atleti, calciatori, allenatori, piloti, ecc.), sia il loro reddito superiore 1o inferiore alla soglia dei 90.000 o dei 150.000 o ei 200.000 euro perchè la suddetta categoria di pensionati é stata così colpita in misura maggiore rispetto ai titolari di altri redditi e, più specificamente, di redditi da lavoro dipendente.
