In altri termini, solo se fossero stati contestualmente colpiti anche tutti gli altri contribuenti italiani a parità di reddito sarebbe stato legittimo il taglio delle pensioni di importo superiore ai 90 mila euro lordi l’anno.
Invero, da un lato, a parità di reddito con la categoria dei lavoratori (pubblici o privati), il prelievo é ingiustificatamente posto a carico della sola categoria dei pensionati di enti gestori di forme di previdenza obbligatoria, con conseguente irragionevole limitazione della platea dei soggetti passivi. A tal proposito si deve tener conto che, se l’eccezionalità della situazione economica che lo Stato deve affrontare consente al legislatore di intervenire con strumenti eccezionali, nondimeno é compito dello Stato garantire il rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale ed, in particolare, del principio di uguaglianza su cui si fonda l’ordinamento costituzionale.
Un’ulteriore anomalia era costituita dal contributo di solidarietà previsto dall’art. 2, comma 2, del decreto-legge n. 138 del 13 agosto 2011 convertito in legge n. 148 del 14 settembre 2011. Detta norma dispone che «in considerazione dell’eccezionalità della situazione economica internazionale e tenuto conto delle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea, a decorrere dal 1° gennaio 2011 e fino al 31 dicembre 2013 sul reddito complessivo di cui all’articolo 8 del testo unico delle imposte sui redditi di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, di importo superiore a 300 mila euro lordi annui, é dovuto un contributo di solidarietà del 3 per cento sulla parte eccedente il predetto importo. Ai fini della verifica del superamento del limite di 300 mila euro rilevano anche il reddito di lavoro dipendente di cui all’articolo 9, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, al lordo della riduzione ivi prevista, e i trattamenti pensionistici di cui all’articolo 18, comma 22-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, al lordo del contributo di perequazione ivi previsto. Il contributo di solidarietà non si applica sui redditi di cui all’articolo 9, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e di cui all’articolo 18, comma 22-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111. Il contributo di solidarietà é deducibile dal reddito complessivo. …».
Per effetto di questa norma si era venuta a determinare un’ulteriore conseguenza irragionevole ed ingiustificata – con riferimento a interventi «di solidarietà connotati da sostanziale identità di ratio – che i contribuenti titolari di un reddito complessivo superiore a 300 mila euro, erano tenuti al versamento di un contributo di solidarietà del 3% sulla parte di reddito che eccede il predetto importo, qualunque fossero le componenti del loro reddito complessivo, ivi compresi i redditi pensionistici e fermo restando che il contributo medesimo si applica sui redditi ulteriori a quelli già assoggettati al contributo di perequazione.
Al contrario, invece, tutti i contribuenti assoggettati al contributo di perequazione, cioé i titolari di pensioni soggetti al taglio perché superiori a 90 mila euro, erano tenuti a versare (per far fronte alla medesima eccezionale situazione economica) quanto previsto secondo gli scaglioni indicati dall’art. 22-bis del d.l. n. 98/2011, convertito in legge n. 111/2011, come successivamente modificato dall’art. 24, comma 31-bis del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, subendo così assurdamente un prelievo del 15% sui redditi superiori a 200 mila euro.
In sostanza si poteva paradossalmente verificare in concreto una situazione addirittura kafkiana perché oltre la soglia di reddito di 300 mila euro lordi annui, a parità di reddito, si aveva universalmente per tutti i contribuenti un’imposizione del 3%, fatta eccezione, però, per la sola categoria dei pensionati titolari di trattamenti di quiescenza superiori a 90 mila euro, corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatoria, un’imposizione del 15% proprio per effetto dei tagli a 90 mila, 150 mila e 200 mila euro!
E ciò in aperta e palese violazione dei canoni costituzionali dell’eguaglianza e della ragionevolezza stabiliti dall’art. 3, nonché del principio della capacità contributiva e del criterio di progressività delle imposte sanciti dall’art. 53 della Carta repubblicana. Di qui l’irrazionalità della normativa per irragionevole ed arbitrario disallineamento derivante dall’asimmetricità , nel meccanismo impositivo del contributo di solidarietà , dei presupposti reddituali di esclusione.
