Garrone si accollò tutti i debiti della societĂ (qualcosa come trenta milioni di euro), tacitando miriadi di creditori angosciati di veder sfumare i loro denari tra le carte bollate del tribunale fallimentare. E si ritrovò a gestire una squadra malconcia e periclitante in classifica, in serie B da tre anni, con la concreta prospettiva di precipitare addirittura in terza serie. Da dove, probabilmente, non sarebbe mai piĂą riemersa. Ed ecco che con quell’umiltĂ che faceva da contrappunto all’orgoglioso carattere che talvolta gli suggeriva impuntature letali, Duccio Garrone mise a segno la prima mossa, azzeccata, della sua vicenda di presidente della Sampdoria.
Chiamò al proprio fianco Beppe Marotta, un dirigente calcistico varesino – ma siciliano d’origine – che si era segnalato per perizia e occhio lungo nell’Atalanta. Fu Paolo Lanzoni, un banchiere suo amico e tifoso blucerchiato, a segnalarglielo: “E’ bravo. E onesto”: Garrone scelse e scelse bene. “Io non so nulla di calcio – ammise – e devo affidarmi a persone competenti”. Maneggiando l’oro nero, il petrolio, la ricchezza di famiglia si era regolato secondo le stesse rigide regole: onestĂ , serietĂ , rispetto della parola data. E ovviamente capacitĂ specifiche. Le doti richieste per lavorare accanto a lui.
Nel calcio in veritĂ Garrone non era esattamente un neofita. Con la ERG, l’azienda di famiglia, aveva sponsorizzato per anni la Sampdoria di Paolo Mantovani e, brevemente, anche la societĂ guidata (si fa per dire) dal figlio Enrico. Non lo ha mai confidato a nessuno ma fu lui ad intervenire presso Mario Contini (socio di Paolo Mantovani nella Pontoil che fece fortuna con il petrolio) affinchĂ© firmasse una generosa fideiussione di parecchi miliardi di lire che permise a Enrico Mantovani, il figlio di Paolo, di iscrivere la Sampdoria al campionato di serie B 2001/2002. Non se ne attribuì mai il merito.
Detestava i blageurs. Aveva sempre declinato gli inviti, privati e pubblici, ad impegnarsi in prima persona nel calcio. “Non è roba per me”. Ma il vento fa il suo giro e alla fine la Sampdoria era diventata la sua principale cura. “E’ come una ballerina ammalata. Vogliamo riportarla sui palcoscenici che merita di calcare”, Garrone elargì la metafora che sarebbe piaciuta a Tersicore, la musa della danza, e certamente rallegrò la figlia Costanza, ètoile a Parigi.
Marotta salvò la Sampdoria dal tracollo e l’anno successivo costruì la squadra risalire a riveder le stelle, in serie A, l’habitat naturale del club. Scelse un allenatore scafato, esperto della cadetteria, come Walter Novellino, che aveva riportato su il Piacenza e il Napoli. Scremò fior da fiore in sede di calciomercato e compose la coppia dei nuovi gemelli del gol. Flachi e Bazzani, degni eredi della mitica coppia Vialli-Mancini. La Sampdoria volò in serie A. Centomila persone festeggiarono l’evento sulla spianata genovese della Foce.
Le foto di quella sera infiammata raccontano della gioia di Duccio, scamiciato in pizzo al bus londinese a due piani noleggiato per permettere alla squadra di raccogliere l’osanna del popolo blucerchiato. Sciarpa blucerchiata sventolante come una bandiera, felice come un bambino, lui descritto come un uomo duro, freddo, refrattario alle passioni. Garrone, semmai, il calcio imparò a viverlo con trasporto totale. Fu come scoprire un mondo mai neppure immaginato. La popolaritĂ che produce il pallone che rotola, l’essere riconosciuto e ringraziato ad ogni angolo di strada. Non ci sono soldi per pagare gratificazioni simili.
Abituato a correre dalla sede della Erg (che avrebbe lasciato a metĂ del nuovo decennio alla cure dei figli maggiori, Edoardo e Alessandro), al ristorante prediletto (l’Europa di Galleria Mazzini, teatro di interminabili sfide a scopone coll’amico Franco Ardoino, il presidente del Livorno Spinelli e il governatore ligure Burlando), Duccio si trovò immerso nell’affetto travolgente dei tifosi sampdoriani. Che in lui videro il continuatore dell’opera di Paolo Mantovani, l’indennizzo per il decennio delle streghe culminato con la retrocessione del 1999. La nuova vita si consumava tra autografi, fotografie, strette di mano, incoraggiamenti e ringraziamenti. Una piecĂ© talmente appagante che Garrone cominciò a frequentare gli abituali ritrovi dei tifosi.
Non mancava mai all’appuntamento estivo con la festa di Fontanile d’Asti. Al volante della sua Porsche Panamera azzurro metallizzato – un vezzo di gioventĂą che si era concesso in vecchiaia – si presentava all’appuntamento e della sagra calcistico-popolare, si accomodava al tavolo in mezzo alla gente, sorseggiando un bianco e assaggiando le specialitĂ gastronomiche. E chiacchierava di calcio, lui che aveva detto di non capirci nulla, Non prometteva scudetti, questo no. Un genovese non indulge al populismo tanto al chilo. Ma l’impegno e la passione sì, allo scopo di migliorare l’esistenza di quella ballerina che aveva riportato a danzare, quattro volte addirittura sui palcoscenici europei e l’ultima fu il passo d’addio di Antonio Cassano.
