ROMA – “Uscire dall’euro non è una bestemmia”. Parola di Silvio Berlusconi e quindi parola d’imprenditore. E proprio la categoria degli imprenditori sarebbe quella che maggiormente beneficerebbe di un’uscita dell’Italia dalla moneta unica, a differenza di piccoli risparmiatori e lavoratori dipendenti che dall’abbandono dell’euro riceverebbero solo svantaggi. Propaganda comunista? Niente affatto, parola di Nouriel Roubini, uno dei massimi e più autorevoli esperti di economia mondiale.
“Il governo Monti è attaccato da sinistra, con i sindacati sempre più inquieti, e soprattutto da destra – dice Roubini a Repubblica – Da quest’ultima fonte viene al più pericolosa delle tentazioni, l’uscita dall’euro. Non mi stupisce: molti industriali e società italiani hanno grosse fortune in euro all’estero, dopo decenni di evasione fiscale e fuga di capitali. Se si tornasse indietro, questi asset sarebbero massicciamente rivalutati mentre le passività interne sarebbero convertite in una svalutata lira. Lo stesso accadde in Argentina nel 2002: la lobby dei ricchi, anche lì appoggiata dalla stampa amica, ottenne la ‘pesificazione’ dei debiti in dollari. Gli unici a rimetterci sono le famiglie a basso reddito i cui depositi e stipendi perdono valore, e nessuna compensazione darebbe loro il fatto che forse ci sarebbe qualche risultato in termini di crescita”. Per la serie più chiaro di così, si muore…
Ma se la provocazione/idea del cavaliere dovesse divenir realtà, ipotesi non del tutto astratta visti i nostri conti, a chi gioverebbe? All’economia italiana? Forse sì, le esportazioni ne beneficerebbero, anche se l’importazione, e le materie prime come la bolletta energetica, diverrebbero assai più salate. Ai lavoratori dipendenti? Certamente no. I loro salari, così come i loro risparmi, verrebbero dalla sera alla mattina pesantemente svalutati. Buoni forse per mantenere un tenore di vita invariato nel nostro Paese ma quasi inspendibili al di fuori dei nostri confini. Alle imprese? Probabilmente sì, più esportazioni come detto e debiti svalutati. Ma soprattutto converrebbe a chi ha sistematicamente evaso ed esportato capitali all’estero, specie se con società ed imprese invece in Italia. Questa categoria prenderebbe due piccioni con una fava: debiti svalutati e ridotti in lire e deposti al sicuro all’estero in una moneta ancor più pregiata. Non si stupisce, l’economista americano, che una simile prospettiva piaccia e solletichi la destra.
Ma dopo il varo di un governo in Grecia, dopo che la Spagna ci ha scavalcato nella classifica dei peggiori, siamo ancora così malmessi che la nostra uscita dall’euro è un’ipotesi plausibile? Assolutamente sì, almeno secondo Roubini. La Grecia è una storia a sé, destinata quasi inevitabilmente a lasciare la moneta unica. Spagna e Italia invece, senza aiuti esterni, sono alle prese con dei tassi d’interesse ai limiti dell’insostenibile. Già al tasso di oggi finanziarsi sui mercati per i due paesi in questione è difficile e soprattutto non sostenibile per un lungo periodo. Se poi questi tassi dovessero ancora salire per noi non ci sarebbe più scampo.
La soluzione migliore, purtroppo impraticabile secondo Roubini, sarebbe una vera unione fiscale, bancaria e politica. Inaccettabile per la Germania e quindi destinata a rimaner solo un’idea. L’alternativa per salvare Roma e Madrid è quindi un intervento della Troika che consenta a Spagna ed Italia di accedere al credito a tassi d’interesse sostenibili. Altrimenti, per la gioia di evasori ed imprenditori, e con gran dolore delle famiglie meno abbienti, addio all’euro.