ROMA – Salvatore Sfrecola sul suo sito “Un Sogno Italiano”, ha scritto questo articolo dal titolo “Uno Stato allo sbando. Confusione e inefficienza”:
Il 2013 consegna al nuovo anno una situazione imbarazzante di confusione istituzionale il cui effetto è l’inefficienza del sistema politico-amministrativo nel suo complesso. Ancor più grande e grave perché, a fronte dell’attuale crisi economica che è crisi delle persone e delle imprese, da parte di chi governa non c’è una risposta in termini di occupazione e di sviluppo.
Così i politici di tutti i partiti si rifugiano nella prospettiva, variamente configurata, di riforme costituzionali che dovrebbero consentire di perseguire politiche pubbliche idonee alla ripresa dell’economia. L’illusione va avanti da tempo. I lettori ricorderanno la battaglia condotta da Berlusconi ed i suoi uomini per la modifica dell’art. 41 della Costituzione che afferma la libertà dell’iniziativa economica privata, pur precisando che non possa svolgersi “in contrasto con l’utilità sociale” (comma 2) e rinviando ad una legge ordinaria la determinazione di programmi e controlli “perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali” (comma 3). In che modo la norma abbia avuto effetti negativi sull’economia nessuno lo ha capito. Eppure siamo stati impegnati per settimane a discutere di questa ipotetica riforma e a parlare degli effetti che ne sarebbero derivati secondo il Cavaliere. Era una bufala di proporzioni gigantesche, pari solo all’ignoranza giuridica e storica di chi l’aveva suggerita al leader dell’allora Popolo della Libertà. Con quella norma l’Italia del dopoguerra aveva raggiunto il “miracolo economico”, poi affondato dai successivi governanti.
Oggi si evoca soprattutto la necessità di eliminare il bicameralismo “perfetto” (Camera e Senato con identici poteri) e rafforzare i poteri del Governo.
Sennonché le bugie, come sempre, hanno le gambe corte. Non che non sia necessario e utile differenziare i ruoli delle due Camere, non che non siano auspicabili più snelli procedimenti per rendere operativi in tempi ristretti i programmi del governo. Ma l’inefficienza non è tanto nelle istituzioni quanto nella politica se maggioranze di proporzioni tali di cui non si rinvenivano precedenti nella storia della Repubblica nel 2001-2006 e nel 2008-2011 non sono riuscite a portare avanti politiche idonee a frenare la fase di recessione e restituire impulso all’economia.
Non è stata neppure tentata la più importante delle riforme, quella che ogni governo dovrebbe avere a cuore e perseguire di giorno in giorno. Mi riferisco alla riforma della Pubblica Amministrazione della quale vanno aggiornati organizzazione e procedimenti.
Invece niente di tutto questo. Anzi, ogni volta che i governi, di destra e di sinistra, si sono proposti modifiche dell’assetto dei ministeri e degli enti territoriali e del loro funzionamento la crisi degli apparati si è aggravata e le presunte semplificazioni si sono rivelate gravissime complicazioni.
Il fatto è che manca (o comunque non conta) negli ambienti politici gente che conosca l’apparato, il suo funzionamento in rapporto alle leggi che ne disciplinano la struttura e i procedimenti. Come pure la storia delle Pubbliche amministrazioni e dei suoi funzionari.
Incredibile davvero, in quanto la prima preoccupazione di ogni governo in rapporto agli obiettivi di politica economica e sociale che costituiscono l’indirizzo politico della maggioranza dovrebbe essere quella di disporre di leggi che consentano di perseguire quelle finalità e di uomini che con quelle leggi siano in condizione di bene operare.
Invece negli anni si sono appesantite le strutture amministrative, periodicamente caricate di nuovi adempimenti spesso inutili quando non costituenti duplicazioni di altri. Contemporaneamente si è sistematicamente demolito il corpo dei funzionari delle Pubbliche amministrazioni, il nucleo fondamentale degli apparati di governo. Con impegno degno di migliore causa, complici i sindacati del pubblico impiego, le strutture amministrative sono state moltiplicate secondo il tradizionale metodo del divide et impera e contemporaneamente depotenziate, in particolare facendo assurgere a funzioni dirigenziali quelle che un tempo erano assegnate a funzionari direttivi, nel linguaggio delle imprese private i quadri.
I dirigenti sono aumentati, anche assunti dall’esterno per soddisfare esigenze clientelari, senza cultura amministrativa e senza esperienza, spesso arroganti, con la conseguenza di non sapersi inserire virtuosamente nell’apparato. È una situazione verificabile in tutti i settori dove sopravvivono uffici dirigenziali costituiti da pochi elementi, strutture che un tempo costituivano semplici “sezioni” di apparati più ampi.
Questa follia organizzativa si riscontra, ed è più evidente in ragione dei gradi che indicano le funzioni, negli apparati militari che mai hanno conosciuto tanti generali di divisione o di corpo d’armata in ruoli solo pochi anni fa ricoperti da ufficiali con meno stelle. La conseguenza è lo svilimento dei ruoli, e l’inefficienza conseguente alla continua turnazione resa necessaria dallo svolgimento di funzioni proprio in vista della successiva promozione. Tutto questo destabilizza gli uffici diretti in via assolutamente precaria spesso per un anno o poco più da personaggi che già pensano al nuovo incarico.
Questa situazione è conseguenza della modestia del personale politico che non si vuol confrontare con funzionari dei vari livelli preparati e buoni conoscitori dell’apparato. Così ministri ed amministratori locali preferiscono avere di fronte un dirigente con scarsi poteri, del tutto supino ai voleri del politico di turno al quale deve la nomina, la determinazione di una parte del trattamento economico (c.d. indennità “di risultato”), il conferimento di incarichi esterni e, soprattutto, dal quale attende la conferma, con buona pace dell’indipendenza del pubblico dipendente “al servizio esclusivo della Nazione” (art. 98, comma 1, Cost.), in realtà al servizio del politico e della politica, divenendo in qualche modo uomo “di area”, in barba alla Nazione.
Questo quadro deprimente, che è l’immagine stessa dell’inefficienza di un Paese che pure vanta una storia antica e brillante nelle pubbliche amministrazioni nel corso dei secoli. Per non dire dell’Amministrazione romana che ha consentito alla Res Publica e poi all’Impero di dominare il mondo per secoli attraverso un’organizzazione civile, militare e fiscale di straordinaria efficienza. Uguale efficienza si rinviene nelle amministrazioni delle grandi democrazie occidentali eredi di grandi imperi, dalla Francia alla Spagna, dal Regno Unito alla Germania. Solo l’Italia vivacchia tra procedure di una complessità assurda gestite da una burocrazia inefficiente e demotivata e prassi istituzionali che non consentono l’ammodernamento degli apparati.
È sufficiente seguire l’attività delle Camere e dei consigli regionali, provinciali e comunali per rendersi conto di quanto scarso sia il senso dello Stato e delle esigenze della comunità, enfatizzate solo in campagna elettorale ed abbandonate il giorno dopo per far posto alla politica delle chiacchiere.