ROMA – Cambio sesso degli islamici, la destinazione è Belgrado. Da una parte la Serbia, che concede a tutti il diritto di cambiare sesso, a prezzi popolari, in tempi rapidi e senza troppe domande. Dall’altra la categoria più negletta nel mondo islamico, i trans che dal Golfo, dal Pakistan, dal nord Africa si precipitano a Belgrado per l’operazione: a casa, una volta ottenuta l’identità sessuale che preferiscono, non torneranno più, non torneranno più dove impiccano gli omossessuali, figuriamoci le ragazze che tornano con i baffi.
L’articolo sul Corriere della Sera di Francesco Battistini (“Belgrado, la nuova Mecca low cost degli islamici che vogliono cambiare sesso”) ci racconta della tragica sussistenza dei pregiudizi religiosi e dello stigma sulla libertà sessuale insieme alla possibilità nel mondo globalizzato di uscire dalle prigioni dell’intolleranza. In Serbia, la legge stabilisce che cambiare sesso dev’essere un diritto gratuito per i cittadini, estendibile anche agli stranieri. Operarsi qui costa un quinto di quanto chiedono in qualsiasi clinica europea o americana. Sono all’avanguardia, in particolare l’equipe guidata dal professor Miroslav Djordjevic. Qui si eseguono etoidioplastica, falloplastica, distruzione d’ovaie-utero-vagina, costruzione del pene.
«Da quando c’è stata la liberalizzazione – spiega la dottoressa Marta Bizic, 35 anni -, andiamo al ritmo di almeno dieci stranieri al mese. Hanno cominciato gli americani, i canadesi, i russi, i brasiliani. Anche gl’italiani: ne abbiamo operati una quindicina. Da un po’ di tempo, siamo passati a persone da luoghi più problematici: Teheran, Islamabad, la Libia. Sono Paesi dove il disturbo dell’identità di genere non è riconosciuto come malattia. Dove le pressioni culturali e religiose sono molto forti. E quindi non è consentito alcun tipo d’intervento. Il problema principale è burocratico. Un libico, che aveva preparato tutte le carte in Germania, dopo l’intervento è tornato a Tripoli coi documenti nuovi: non volevano farlo entrare. E se comunque decidesse di restare là, nessuno accetterebbe di dargli lavoro»