Per il leader dei conservatori inglesi David Cameron si avvicina il momento della verità: il 5 ottobre si è aperto il a Manchester il congresso del partito e Cameron, una volta per tutte, punta ad affermare la sua leadership.
Ma per l’erede della Thatcher qualche problema c’è. Innanzitutto la vittoria del fronte europeista a Dublino. Sull’Unione Europea, è noto, gli inglesi sono da sempre tiepidi e i conservatori sono decisamente freddi.
Inevitabile che la platea tory chieda al suo leader che cosa ne pensi. Ma Cameron, potendo farlo, si asterrebbe volentieri dal prendere posizione.
I numeri in ogni caso sono con lui: 12 punti di vantaggio sui laburisti, il sostegno della stampa popolare capitanata dal Sun, e l’84% dei militanti dalla sua.
Non mancano, però, le perplessità: lo Spectator, per esempio, si chiede se Cameron sia «un vero rivoluzionario» e l’analista Bruce Anderson, è lapidario nell’affermare che il leader conservatore «non è ancora uno statista».
Il partito, in ogni caso, grazie a Cameron è cambiato e non poco. Esempi? La scelta dell’anglopakistana Sayeeda Warsi come consigliera per la coesione sociale e il gay village allestito all’interno del congresso di Manchester. Non poco per un partito che, fino a pochi anni fa, sugli omosessuali si limitava ad un imbarazzato silenzio.
Cameron è stato anche in grado di far dimenticare agli inglesi le sue “nobili” origini e il reddito milionario. La storia della morte di suo figlio, Ivan, ha commosso il Regno Unito e ha spinto il leader conservatore ad ammettere di aver scoperto la sanità pubblica e a impegnarsi a non tagliarla in nessun caso.
Ma basterà tutto questo per un paese che, flagellato dalla crisi, ha bisogno di programmi e risposte forti?
