ROMA – Antonio Saitta, presidente Pd della provincia di Torino e dell’Unione province italiane, è molto critico nei confronti del Governo Renzi e delle sue tanto sbandierate riforme, questa l’intervista a Marco Imarisio del Corriere della Sera:
«Resto orgoglioso di aver combattuto una battaglia razionale nel momento in cui la razionalità è un bene che anche il mio partito mette da parte a favore di proclami che celano il vuoto. Fingere di cambiare tutto per non cambiare nulla».
Abolizione gattopardesca?
«Ma quale abolizione, è solo un bel titolo per i giornali. Ma dietro non c’è niente. Il governo ha scelto di farsi prigioniero di un annuncio».
Non è comunque un inizio?
«Di cosa? Questa riforma non tocca nulla dell’apparato statale. Una riforma inconcludente, confusa, che non abolisce nulla. I grandi burocrati e i prefetti ieri sera hanno brindato felici».
Aveva idee migliori?
«Il governo Monti aveva agito in modo più serio accogliendo in buona sostanza la proposta del dimezzamento delle Province, unito all’accorpamento degli uffici periferici dello Stato. Prefetture, questure, provveditorati, motorizzazioni. Quella era la strada giusta».
Perché non se ne fece nulla?
«L’ostilità della burocrazia di Stato, unita a qualche localismo assortito».
Cosa rimprovera a Renzi?
«Ha aggirato un problema invece di risolverlo. Quindi ne ha creati altri. Fosse andato alla radice, come intendeva fare Monti, accorpando Provincie, uffici statali e funzioni di oltre 7.000 società pubbliche, avrebbe risparmiato 5 miliardi. Adesso, se va bene, i tagli si fermano a 32 milioni di euro. Briciole spacciate per un lauto pasto».
Lei è un bieco conservatore?
«Tutt’altro. Ero e sono consapevole del fatto che fosse necessario cambiare. Ma per me la politica è governare i processi, realizzarli per davvero, senza fermarsi alla propaganda e all’immagine».
Proprio nulla da salvare?
«Ma anche nulla da gettare. A parte l’addio all’elezione diretta dei presidenti, la presunta riforma mantiene tutto così com’è. L’unico risultato concreto di tanto furore abolizionista è l’abbandono dell’altra Italia, quella dei piccoli e medi Comuni, a favore delle grandi città. Ma il capoluogo non è tutto. E comunque, sai che gran rivoluzione».
Niente di personale?
«Io sono alla fine del mio mandato e non avrei potuto ricandidarmi. Continuerò comunque a combattere questa battaglia complicata ma giusta. Anche a costo di sembrare l’ultimo giapponese nella giungla delle province».