A questo punto tutto sembrerebbe già scritto, Rai e Mediaset si arricchiscono di frequenze, più canali, più offerte, più duopolio. L’unica realtà che forse può giocarsela alla pari è Sky Italia. Sia come offerta culturale che come infrastruttura tecnica. Contro la tv di Tom Mockridge , il ministro Romani aveva ingaggiato una battaglia legale per tenerla fuori dalla partita. Ci è voluto un intervento del consiglio di Stato che lo scorso 10 febbraio ha bollato come “manipolativo” il comportamento dell’esecutivo, riammettendo la televisione satellitare alla corsa per l’assegnazione di un segnale digitale. I vari Espresso, Telecom (che già posseggono dei multiplex), Rcs, De Agostini, Liberty Media e Discovery dovranno accontentarsi di spartirsi quello che resta: tre multiplex più una frequenza “meno pregiata”. Se la Commissione europea darà il suo via libera, ad agosto, il ministero dello Sviluppo economico pubblicherà il disciplinare di gara, per poi verso novembre o dicembre indire l’asta, che stando ad oggi non sarà che una pura formalità.
Oltre al succulento mercato delle frequenze, c’è un’altra questione, stavolta più politica e meno tecnica, una questione che riguarda da vicino Berlusconi, la Corte Costituzionale e il loro rapporto al veleno, specie se si tocca un argomento tanto caro al premier come appunto Mediaset e Rete4 in particolare. Berlusconi cominciò mettendo assieme Canale 5, comprando una serie di tv locali e, all’inizio, mandando a tutte lo stesso programma, registrato in cassetta, con dentro la pubblicità, ovviamente, uguale per tutte. Sola differenza: i programmi venivano trasmessi a orari differenziati di qualche minuto, in modo che per gli inserzionisti la trasmissione degli spot era contestuale. Poi il cambiamento: via le cassette, dentro un grande network a frequenze unificate e ponti radio (Adriano Galliani fu fondamentale in questo: girò l’Italia col padre e impiantò antenne su montagne, colline e cocuzzoli).
Berlusconi si rafforza, subentra a Rusconi, che getta la spugna su Italia 1, salva la Mondadori comprando Rete4 che la stava facendo fallire. Poi cerca di annettersi Repubblica, con un colpo di mano che ha le radici nel mistero, e lì cominciano i suoi guai con la giustizia e con la Corte costituzionale. Mentre le leggi (Mammì, Maccanico) si susseguono, la Corte resta abbastanza coerente con i suoi principi: bisogna tutelare il pluralismo, tre reti nazionali, su dodici disponibili in Italia, sono troppe, Rai 3 e Rete 4 devono andare sul satellite. Da questa posizione la Corte non si è mai mossa. Poi la “svolta”, anzi, una teoria: il digitale terrestre fa venire meno i timori della Corte, perché i canali disponibili diventano centinaia, moltiplicando le frequenze che prima erano limitate, perché ciascuna frequenza si moltiplica quasi all’infinito.
L’avvento della nuova era è sancito da una nuova legge, la Gasparri, che scommette sulla trasformazione dell’Italia in un paese digitale, come già accade in altri paesi europei. Le cose però non vanno tutte dritte, ci sono delle grane per i decoder, Gasparri è sostituito da Paolo Gentiloni quando la sinistra va al governo con Romano Prodi e Gentiloni sposta di quattro anni la data di avvento del digitale terrestre. Berlusconi qui comincia a tremare. Il rischio che la Corte si accorga dei problemi dei digitale terrestre e lo metta in mora è forte. Fortuna che Prodi dura poco e Berlusconi torna a palazzo Chigi e fra i primi atti del nuovo Governo c’è proprio l’anticipare la scadenza del digitale terrestre. Ora che la Corte Costituzionale è tornata a stargli col fiato sul collo Berlusconi è di nuovo all’opera per ampliare offerte, frequenze, canali, servizi… salvare Rete4.