Condannati, prescritti, indagati, imputati e rinviati a giudizio. Claudio Scajola, che non era nemmeno indagato, si è dimesso da ministro. Ma non era e non è l’unico elemento del Governo ad aver avuto qualche “imbarazzo” con la giustizia italiana.
Premier
Silvio Berlusconi: è stato imputato in oltre 20 procedimenti giudiziari. Nessuno di questi si è concluso con una sentenza definitiva di condanna, per via di assoluzioni, declaratorie di prescrizione e depenalizzazioni dei reati.
L’elenco: 2 amnistie (falsa testimonianza P2 e falso in bilancio Macherio); 1 assoluzione dubitativa (corruzione Gdf, falso bilancio Medusa); 1 assoluzione piena (corruzione giudici Sme-Ariosto); 2 assoluzioni per depenalizzazione del reato da parte dello stesso imputato (falsi in bilancio All Iberian, Sme-Ariosto); 8 archiviazioni (6 per mafia e riciclaggio, 2 per concorso in strage).
E ancora 6 prescrizioni (finanziamento illecito a Craxi con All Iberian; falso in bilancio Macherio; falso in bilancio e appropriazione indebita Fininvest; falso in bilancio Fininvest occulta; falso in bilancio Lentini; corruzione giudiziaria Mondadori); 3 processi in corso: Telecinco (falso bilancio, frode fiscale, violazione antitrust spagnola), caso Mills (corruzione giudiziaria:mentre l’avvocato David Mills è stato condannato in primo e secondo grado con prescrizione di una parte della condanna in Cassazione, Berlusconi è ancora in attesa della sentenza ormai non più vincolata al Lodo Alfano dopo la bocciatura dello stesso da parte della Corte Costituzionale); diritti Mediaset (appropriazione indebita, falso bilancio, frode fiscale); 1 indagine in corso (istigazione alla corruzione di alcuni senatori).
Membri del Governo
Sottosegretari di Stato alla Presidenza del Consiglio:
Gianni Letta: Dal novembre 2008 Gianni Letta risultava indagato per i reati di abuso d’ufficio, turbativa d’asta e truffa aggravata in riferimento a presunti favori per l’affidamento ad una holding di cooperative legata al movimento Comunione e Liberazione dell’appalto per la ristorazione di un centro di assistenza per richiedenti asilo nel comune di Policoro.
Dopo un conflitto di competenza tra le Procure di Potenza e Roma, la Procura Generale presso la Corte di Cassazione aveva affidato il prosieguo dell’indagine alla Procura della Repubblica di Lagonegro.
L’11 agosto 2009 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma, su richiesta della Procura della Repubblica, ha definitivamente archiviato il procedimento a carico del Sottosegretario Letta giudicando del tutto inesistenti le ipotesi di reato formulate.
Aldo Brancher (Federalismo): Arrestato per 3 mesi nel carcere di San Vittore, fu uno dei pochissimi inquisiti di “Mani pulite” a ricevere solidarietà dall’ambiente esterno: lo rivelò il suo datore di lavoro Silvio Berlusconi quando raccontò che «quando il nostro collaboratore Brancher era a San Vittore, io e Confalonieri giravamo intorno al carcere in automobile: volevamo metterci in comunicazione con lui».
Scarcerato per decorrenza dei termini di custodia cautelare, è stato condannato in primo grado e in appello per falso in bilancio e finanziamento illecito al Partito Socialista Italiano. Brancher si salva in Cassazione grazie alla prescrizione per il secondo reato e alla depenalizzazione del primo da parte del governo Berlusconi, del quale faceva parte.
Viene indagato, insieme a Roberto Calderoli, a Milano per ricettazione nell’indagine sulla scalata di Fiorani all’Antonveneta: la Procura trova un conto alla Banca Popolare di Lodi intestato alla moglie di Brancher con un affidamento e una plusvalenza sicura di 300mila euro in due anni.
Guido Bertolaso: Il 10 febbraio 2010 è stato raggiunto da un avviso di garanzia nell’ambito di un’inchiesta sugli appalti del G8 che avrebbe dovuto svolgersi a La Maddalena e poi spostato a L’Aquila. In seguito al provvedimento ha rimesso nelle mani del Consiglio dei ministri la sua nomina a Capo della Protezione Civile e sottosegretario, le dimissioni sono state però respinte dal Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi[15].
Secondo l’accusa Bertolaso, insieme a diversi imprenditori e altri membri della Protezione Civile, avrebbe fatto parte di uno scenario di corruzione con scambi di favori di svariata natura, anche sessuale, in cambio di appalti. Bertolaso si difende[16] sostenendo il suo buon operato come servitore dello Stato ammettendo la possibilità che durante la propria gestione della protezione civile l’operato di alcuni dei suoi collaboratori possa essergli sfuggito.
Ministri senza portafoglio
Rapporti con le Regioni
Raffaele Fitto Archiviato il caso che lo vedeva indagato a Bari per corruzione, falso e illecito finanziamento ai partiti, nel 2006 s’è salvato dalle manette perché la Camera ha respinto la richiesta di autorizzazione ad arrestarlo inoltrata dai giudici di Bari. Nel dicembre 2007 la Procura barese ha comunque chiesto il suo rinvio a giudizio per corruzione e illecito finanziamento.
L’accusa riguardava presunte tangenti versate a Fitto da Giampaolo Angelucci, re delle cliniche private (anche lui imputato a Bari), che gli avrebbe allungato 500mila euro per la sua lista alle elezioni regionali del 2005 (poi perdute contro Nichi Vendola) in cambio di favori illeciti per vincere l’appalto da 198 milioni che gli ha consegnato le undici residenze sanitarie «assistite» dalla Regione Puglia.
Riforme per il Federalismo
Umberto Bossi Condannato in via definitiva a 8 mesi di reclusione per 200 milioni di finanziamento illecito dalla maxitangente Enimont; condannato in via definitiva per istigazione a delinquere e per oltraggio alla bandiera; indagato e imputato in altri procedimenti penali. Il 16 dicembre 1999 la Cassazione l’ha condannato a 1 anno per istigazione a delinquere, per aver incitato i suoi, in due comizi a Bergamo nel 1995, a «individuare i fascisti casa per casa per cacciarli dal Nord anche con la violenza». Tremaglia, suo futuro collega ministro, l’aveva denunciato.
Altra condanna definitiva nel 2007 a 1 anno e 4 mesi (poi commutati in 3.000 euro di multa, interamente coperti da indulto) per vilipendio alla bandiera italiana, per aver dichiarato nel 1997: «Quando vedo il tricolore mi incazzo. Il tricolore lo uso per pulirmi il culo». Niente sospensione condizionale della pena, che però è coperta da indulto (che cancella anche quelle pecunarie fino a 10 mila euro): insomma,Bossi non pagherà nemmeno un euro.
Inoltre ha un altro processo in corso per lo stesso reato, per aver detto, sempre nel 1997, durante un comizio: «Il tricolore lo metta al cesso, signora… Ho ordinato un camion di carta igienica tricolore personalmente,visto che è un magistrato che dice che non posso avere la carta igienica tricolore». Nel 2002 la Camera ha negato ai giudici l’autorizzazione a procedere, ritenendo le espressioni rientranti nella libera attività parlamentare e dunque coperte da insindacabilità; ma nel 2006 la Consulta ha annullato la delibera di Montecitorio, disponendo che Bossi sia processato come un comune cittadino.
Il Senatùr è invece uscito indenne dal lungo processo per resistenza a pubblico ufficiale, in seguito agli scontri con la polizia che perquisiva, il 18 settembre ’96, la sede leghista di via Bellerio a Milano: condannato a 7 mesi in primo grado e a 4 in appello, Bossi s’è visto annullare con rinvio la seconda condanna dalla Cassazione, che ha disposto un nuovo processo d’appello. E qui, nel 2007, è stato assolto.
Ancora aperto, invece, il processo di Verona per le camicie verdi della cosiddetta Guardia nazionale padana costituita nel 1996: Bossi, con altri quarantaquattro dirigenti leghisti, deve rispondere in udienza preliminare di attentato alla Costituzione e all’unità dello Stato, nonché di aver costituito una struttura paramilitare fuorilegge. Ma, almeno in questo caso, rischia poco o nulla: allo scadere dell’ultima legislatura, la maggioranza di centrodestra ha riformato i primi due reati (punibili ora solo in presenza di atti violenti), in modo da assicurarne la decadenza al processo di Verona. L’ennesima legge ad personam. Una volta tanto non per il Cavaliere, ma per il Senatùr.
Il procuratore di Verona Guido Papalia, però, tiene duro sull’accusa residua di associazione paramilitare. Allora, nel 2007 la Camera regala l’insindacabilità ai deputati imputati, tra i quali Bossi, Calderoli e Maroni, quasi che la Guardia Padana fosse un’«opinione». A quel punto Papalia ricorre nuovamente alla Consulta con un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, come ha già fatto contro un analogo provvedimento impunitario adottato dal Senato per salvare Gnutti e Speroni.
Semplificazione Normativa
Roberto Calderoli: Indagato a Milano per ricettazione nell’inchiesta sulla Banco popolare di Lodi (Bpl) dell’ex amministratore delegato Giampiero Fiorani. Fiorani sosteneva di averlo foraggiato per garantirsi l’appoggio politico della Lega durante il suo tentativo di scalata alla Banca Antonveneta: con il suo sottosegretario Brancher, l’allora ministro delle Riforme si sarebbe spartito 200mila euro.
Salvo per prescrizione nel processo per i tafferugli con la polizia nella sede leghista di via Bellerio a Milano (resistenza a pubblico ufficiale), Calderoli è scampato al processo in corso a Verona per le camicie verdi (attentato alla Costituzione e all’unità dello Stato, struttura paramilitare fuorilegge) grazie a una legge ad personam e all’insindacabilità regalatagli dal Senato.
Ministri con portafoglio
Interno
Roberto Maroni: Condannato in primo grado nel 1998 a 8 mesi per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale, in relazione ai tafferugli durante la perquisizione della sede leghista di via Bellerio a Milano. Maroni, prima di finire in ospedale con il naso rotto, avrebbe tentato di mordere la caviglia di un agente di polizia. In appello nel 2001 la pena è stata ridotta a 4 mesi e 20 giorni perché nel frattempo il reato di oltraggio era stato abrogato. La condanna iLa Cassazione nel 2004 ha poi commutato tutto in una pena pecuniaria di cinquemila euro.
Maroni è anche imputato a Verona come ex capo delle camicie verdi con le accuse di attentato contro la Costituzione e l’integrità dello Stato e creazione di struttura paramilitare fuorilegge. Reati depenalizzati. Resta in piedi solo il terzo.
Giustizia
Angelino Alfano: indagato nel 2009 insieme al ministro per i Rapporti con le Regioni, Raffaele Fitto, con l’ipotesi di abuso d’ufficio per aver rallentato la nomina di Marco Dinapoli a Brindisi. Il procedimento, aperto dalla Procura della Repubblica di Roma, nasce dal presunto ritardo con cui il Guardasigilli avrebbe dato il suo parere al Csm sulla promozione del procuratore aggiunto di Bari, Marco di Napoli, a procuratore capo di Brindisi.
Nel marzo del 2009 Alfano aveva disposto una ispezione alla procura di Bari per verificare l’attività di alcuni pm, tra cui Di Napoli impegnati in inchieste su Raffaele Fitto, ministro per i Rapporti con le regioni, e compagno di partito di Alfano nel Pdl. Nella denuncia si lamentava la mancata formulazione del parere, arrivato comunque successivamente, tanto che il magistrato è stato destinato a quell’incarico. Dunque, secondo quanto si è appreso, il parere – seppur arrivato in ritardo – non compromise la nomina. Di Napoli ha ottenuto la promozione a Brindisi e la procura romana ha archiviato il fascicolo.
Infrastrutture e Trasporti
Matteoli Altero (An): Nel 2004, quando Matteoli era ministro dell’Ambiente, viene accusato di favoreggiamento verso l’ex prefetto di Livorno, per averlo avvertito di indagini e intercettazioni in corso su uno scandalo di abusi edilizi all’isola d’Elba, consentendo a lui e ad altri indagati di inquinare le prove e di distruggere carte e addirittura computer, con gravi danni per le indagini.
Il processo è iniziato il 20 ottobre 2006. Ma il 17 maggio 2007 la Camera l’ha bloccato (394 voti favorevoli, 2 contrari e 32 astenuti), sollevando un conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato alla Corte Costituzionale contro il Tribunale dei ministri di Firenze che, spogliandosi del caso in quanto Matteoli è accusato come comune cittadino e non come ex ministro, non ha ritenuto di chiedere alla Camera l’autorizzazione a procedere prevista per i ministri accusati di reati commessi nell’esercizio delle proprie funzioni. Così il processo, in attesa della Consulta, si ferma.