Il dato politico è innegabile: il vero vincitore della giornata di oggi è Silvio Berlusconi. I numeri, per quanto striminziti, sono dalla sua: alla Camera ha incassato 314 voti a favore e 311 voti contrari. E resta in sella. Il governo vacilla, è vero, ma il Cavaliere non è stato disarcionato. E il primo round col presidente della Camera è tutto suo.
Il successo di oggi, vedendo i nomi dei deputati che hanno deciso la partita, viene da lontano. Operazioni di “mercato” che hanno portato il premier a tenersi il timone. Non vuol dire soldi, non necessariamente. Non più tardi di ieri sera Casini ha detto che a suo giudizio sono girati anche quelli. Aspetto su cui a Roma indagano e su cui non si può far altro che aspettare un eventuale pronunciamento della Giustizia.
Ma le mosse che hanno tenuto Berlusconi in sella sono diverse, almeno cinque. Tutte decisive.
1) Il Parco dello Stelvio. Cosa c’entrano cervi, ermellini e aquile con Berlusconi? C’entrano. E’ successo, infatti, che qualche giorno fa il governo ha improvvistamente fatto capire al partito altoatesino Svp che i criteri di gestione del Parco si potevano rivedere, magari con un peso maggiore dato alla parte di Bolzano e provincia. Risultato: oggi dalla Svp sono arrivate due astensioni. Che non sono due voti a favore è vero, ma che potevano essere e, fino ad alcuni giorni fa sembravano, voti contro. Due voti che avrebbero portato ad un parziale, pericolosissimo, di 314 a 313.
2)La riforma Gelmini e le università telematiche private. La sorpresa del giorno è il sì alla fiducia di Catia Polidori, detta “Lady Cepu” per la sua parentela (smentita oggi dalla diretta interessata) col patron dell’azienda di ripetizioni e affini. A pensar bene la notte ha portato consiglio alla Polidori. A pensar male, invece, torniamo al 19 luglio quando Berlusconi era proprio in casa Cepu a parlare di riforma e lanciare battute su Rosy Bindi. La riforma è durissima con le università pubbliche, ma per le private i soldi non mancano. Il risultato oggi è che la Polidori rinnova la fiducia e Barbareschi sbotta: “Mi ha detto che ha problemi con la Cepu”. Un voto, quello della Polidori, che vale doppio: toglie un punto a Fini e ne dà uno a Berlusconi. Continuando il conto di prima si arriverebbe al sorpasso: 314 a 313 per la sfiducia.
3)La Chiesa e quei 60 milioni. C’è la crisi, Tremonti taglia tutto il tagliabile e anche un po’ di più. Non solo: la Ue ci mette sotto processo per gli aiuti di Stato proprio alla Chiesa cattolica. Ma Berlusconi è imperturbabile e il 10 settembre arriva un regalino: una quota dei 144 milioni del budget dell’8 per mille a gestione statale sarà destinata a lavori di abbellimento di chiese, sedi arcivescovili, monasteri e confraternite della Conferenza episcopale italiana. Dei 262 interventi previsti più della metà andranno ai parroci e più di 50 finanziamenti sono stati assegnati a singole parrocchie seminate su tutto il territorio italiano. Difficile conteggiare quanto questa mossa abbia influito sulla fiducia e sulla coscienza dei singoli deputati. Di certo, se in Vaticano, qualcuno era dell’opinione di pensionare il premier, magari convincendo qualche cattolico militante indeciso, poi avrà pensato che si poteva attendere un altro po’.
4)Il piano casa. Di Scilipoti e Razzi. Ovvero il gossip cattivo. Non ci sono le prove. E ci sono le indagini. Di certo le “conversioni” dei due deputati Idv Antonio Razzi e Domenico Scilipoti hanno scatenato i commenti più disparati. L’accusa che arriva da più parti è che Scilipoti, dopo 12 anni di militanza Idv, avrebbe fatto il Giuda per qualcosa di molto materiale. Per Berlusconi non esattamente un’operazione a buon mercato: “Giuda” si accontentò di 30 denari. Scilipoti, secondo quanto scritto e riportato anche dal quotidiano il Giornale, avrebbe ottenuto l’estinzione del mutuo (cosa che riguarderebbe anche l’Idv Antonio Razzi) e un pagamento da 200 mila euro per saldare un vecchio decreto ingiuntivo. Due voti pesantissimi, anche perché strappati, non senza soddisfazione al “nemico” Antonio Di Pietro.
5) Tubare con le colombe Di Lady Cepu abbiamo detto. Ma non vanno dimenticate le defezioni, in rigoroso ordine cronologico, di Giampietro Catone, Maria Grazia Siliquini e Silvano Moffa. Il primo ha sbattuto la porta il giorno prima, la Siliquini e Moffa hanno prima obbligato Fini ad un’ultima offerta. Poi la prima ha votato comunque la fiducia, e il secondo al momento opportuno se n’è semplicemente andato. Anche qui le pressione del premier c’entrano e non poco. Non è solo l’appello alla notte di riflessione. E’ un lavorio di settimane, un lento logoramento ai fianchi del Fli, per far capire alle colombe che il recinto del Pdl era “accogliente” e Fini era uno “sfascista”. Un dettaglio: governo in carica vuol dire rimanere certamente in Parlamento. Qualcosa conta. Senza voler nulla togliere allo stratega Berlusconi.
P.S In canna c’era un altro colpo letale per i sogni di gloria di Fini: il voto di Paolo Guzzanti, che nonostante l’appello anche in aula di Berlusconi, non se l’è sentita di rinnovargli la fiducia. Aveva già visto la Siliquini decidere per il no guardandosi allo specchio?