“Gianfranco Fini dica chiaramente se intende continuare ad appoggiare il governo o, al contrario, aprire una crisi, perché io di passi indietro non ne faccio”. Silvio Berlusconi e il Pdl incalzano Futuro e Libertà che prontamente fa sapere di non volere staccare la spina, ma chiede anche che un rilancio dell’azione del governo.
”Una mia defezione procurerebbe danni seri al centrodestra e a tutto il Paese”: le parole del presidente del Consiglio affidate all’ultimo libro di Bruno Vespa risalgono, come riconosce lo stesso autore, a una decina di giorni fa. Ma il premier non ha certo cambiato idea.
”So bene che i cimiteri sono pieni di persone indispensabili, ma se dovessi ritirarmi ora perderei la stima dei tanti italiani che mi hanno dato fiducia”, aggiunge il premier.
In questi dieci giorni non è mutata la sua fiducia nella Lega: ”Bossi è un alleato solido”, sottolinea il Cavaliere, che viene subito ripagato con l’ennesima dichiarazione di lealtà: un governo tecnico sarebbe un ”colpo di Stato” contro il quale ”la rivolta del popolo è legittima”, tuona il ministro Roberto Calderoli.
Altrettanto ‘aggiornato’ appare l’invito all’Udc affinchévaluti ”a fondo” l’ipotesi di appoggiare il governo. Ipotesi che però viene nuovamente bocciata dal segretario centrista Lorenzo Cesa: ”Non abbiamo alcuna intenzione di partecipare a questo governo: o si dà una svolta con le dimissioni o la cosa non ci riguarda”.
Parole che confermano i timori del Cavaliere sul fatto che senza una crisi formale il dialogo con Pier Ferdinando Casini non decollerà mai. Eppure l’ordine di scuderia resta quello di non polemizzare con i centristi. E il motivo, almeno stando ad un fedelissimo del premier, è che il Cavaliere prima o poi potrebbe essere costretto a cedere: ”Vuole andare avanti, ma se ciò non fosse possibile pur di arrivare al 2013 potrebbe decidere di accontentare l’Udc con una crisi ‘pilotata”’.
A condizione però che ciò non precluda la sua permanenza a palazzo Chigi. Perché, come dice Fabrizio Cicchitto, se resta ”l’apertura” ai centristi, il premier ”non è disposto” a passi indietro.
Berlusconi tiene dunque aperte tutte le opzioni. Anche se per ora prevale la volontà di andare avanti, mettendo Fli davanti ad una scelta netta. ”L’onorevole Fini dovrà o confermare l’appoggio al governo o prendersi la responsabilità di una crisi”, sottolineano Cicchitto, Gasparri e Quagliariello. Crisi che, ammoniscono, non avrebbe altri sbocchi se non quello del voto.
Ed è su questo che nell’entourage di Berlusconi si punta per evitare la caduta del governo: ”Berlusconi crede che Fini non sia pronto a strappare, non solo perché teme le elezioni ma anche perché molti non lo seguirebbero”, spiega un ministro.
Fatto sta che i finiani rilanciano la palla nell’altro campo: ”Futuro e Libertà ha sempre detto che non intende staccare la spina al governo: il problema è la reale volontà di dar vita a una nuova stagione”, rispondono i capogruppo di Fli Italo Bocchino e Pasquale Viespoli. Uno scaricabarile che impedisce al premier di puntellare una maggioranza che appare sempre più traballante e allontana ancor di più qualsiasi ipotesi di intesa coi finiani.
Perché se è vero che i ‘falchi’ alla Fabio Granata restano piuttosto isolati, gli stessi futuristi riconoscono che il più duro dentro Fli è proprio il leader. Non a caso un moderato come Silvano Moffa riconosce che fra le due ‘fazioni’ non ci sono nemmeno ”contatti”, tutt’al più qualche ”chiacchierata”.
Ma le divisioni non colpiscono solo i finiani. Anche dentro il Pdl i malumori non accennano a diminuire. E in molti attendono una svolta dal premier. Gli occhi restano puntati sulla Direzione Nazionale. Sul prossimo 4 novembre si sprecano i pronostici: c’è chi dice che non ci saranno novità eclatanti.
”Più probabile che sferri un veemente attacco sulla giustizia”, scommette un ministro. Altri, invece, prevedono un nuovo passo verso il modello dei ‘tea party’, già lodato da Berlusconi. Magari, spiega un fedelissimo del premier, attraverso un tour in Italia che lo porti a ritrovare un rapporto con gli elettori senza mediazioni. Passo che, però, potrebbe non piacere a chi al contrario chiede un maggiore radicamento del Pdl.