Brancher, Berlusconi e Bertolaso: tre B unite da un’altra consonante, la L di lamentazione. Il leit motiv delle dichiarazioni dei tre negli ultimi giorni, infatti, è il vittimismo, la lamentela. A strepitare più forte è l’ultimo venuto, il neo ministro dalle deleghe occulte, Aldo Brancher. Neppure il tempo di accomodarsi su una poltrona dai contorni molto poco chiari che Brancher, imputato al processo per la scalata alla banca Antonveneta ricorre ad uno degli artifici più ingegnosi elaborati dagli uomini di Berlusconi, il legittimo impedimento.
“Ho un ministero da organizzare, scusate se è poco, in aula non mi vedrete per un bel po’, diciamo per almeno 4 mesi” ha fatto sapere Brancher ai giudici attraverso i suoi avvocati. Qualcosa, però, non è andata secondo i piani e la trovata del neo ministro non è piaciuta a nessuno. Passi per le opposizioni, Idv e Pd in testa: una reazione feroce era nelle cose. Quello che ha spiazzato Brancher, obbligandolo ad una precipitosa e un po’ goffa retromarcia, è stata la reazione del Quirinale prima e di parte del centrodestra subito dopo.
Giorgio Napolitano, presidente che di norma tende a ridurre all’osso le sue irruzioni nel dibattito politico non ha resistito: la richiesta del neo ministro gli è apparsa non solo immotivata, ma anche troppo sfacciata sia nei tempi sia nei modi. Ma c’è dell’altro: al presidente della Repubblica la nomina di Brancher non è andata giù dall’inizio, dalla telefonata con cui il sottosegretario Gianni Letta gli spiegava le “imprescindibili” ragioni politiche per cui andava costituito questo nuovo ministero. Ma quale ministero? Con che deleghe? E soprattutto perchè? ha chiesto Napolitano. Di risposte chiare, da Berlusconi, non ne sono arrivate.
Il quotidiano La Repubblica racconta così la nomina: “Il presidente del Consiglio spiega che la scelta è tutta di natura politica, la Lega preme per riavere il ministero dell’Agricoltura, lasciato libero da Zaia, e chiede lo spostamento di Galan allo Sviluppo economico. Il premier parla delle difficoltà nei rapporti con l’alleato padano e sostiene, indubbiamente con buone ragioni politiche, che il Pdl non può lasciare nel Nord le questioni agricole al monopolio leghista; gli uomini di Bossi poi controllano tutti gli assessorati regionali. Convincente, però… Scusi, presidente, ma Brancher non è del Pdl? Risposta di Berlusconi: sì, però è l’uomo di collegamento con la Lega, molto vicino a Tremonti e Calderoli. D’accordo, ma le deleghe quali sono? Non si preoccupi, gliele mando subito”.
Le deleghe, appunto. Quelle che Brancher, con arroganza invitava ad andare a leggere sulla Gazzetta Ufficiale salvo poi correggersi subito dopo. Delle attribuzioni del neo ministro nato per l’Attuazione del federalismo fiscale e diventato a tempo di record dopo l’irritazione di Bossi ministro per il decentramento e la sussidiarietà, sulla Gazzetta Ufficiale non c’era e non c’è, al momento, nessuna traccia.
A Brancher, tra una brutta figura e l’altra, non resta che l’arte della lamentazione. Di dimissioni, ovviamente, non se ne parla: in Italia sono un istituto in disuso, e quindi Brancher, in attesa di capire a cosa servirà la sua poltrona ci si accomoda sopra con un chiaro “vado avanti”. A fare cosa si capirà forse dopo. E allora il neo ministro gioca la carta del vittimismo, prima si dice sereno e poi spiega: “Non mi aspettavo tanta cattiveria a tutti i livelli. Nella vita ne ho passate di tutti i colori, ma fino a questo punto…”. La colpa di tutto questo fuoco incrociato, per Brancher, non è di un legittimo impedimento chiesto a tempo di record. I responsabili della “cattiveria e dell’odio” sono un centravanti slovacco che gioca in Turchia (Vittek) e un allenatore ex campione del mondo che ha sbagliato tutto quello che era umanamente possibile sbagliare (Lippi). Cosa c’entrano? Nella logica di Brancher è tutta colpa loro: “L’Italia perde i mondiali e la gente se la prende con me? E’ una vergogna”. Il legittimo impedimento giocato e abortito invece è una bazzecola. E complimenti al neo ministro per l’alta considerazione in cui tiene gli italiani.
Si lamenta Brancher e si lamenta anche Guido Bertolaso. In attesa che si decida a lasciare la guida della Protezione civile (lo ha annunciato tante volte ma non lo ha ancora fatto nonostante il suo ruolo nell’inchiesta sui Grandi eventi sia tutt’altro che chiarito), il leader si sfoga un giorno sì e l’altro pure, contro tutto e tutti. Ora, se Silvio Berlusconi tende ad identificarsi con lo Stato, Guido Bertolaso, nel suo immaginario, è un tutt’uno con l’istituzione che dirige. E quindi, dopo una conferenza stampa da bar a Palazzo Chigi, il “Guido scudettato” è arrivato a dire: “La Protezione civile italiana è una realtà che dava e che dà fastidio”. La cosa grave è che non si tratta di metafora: per Bertolaso la Protezione civile e il suo capo sono la stessa cosa. Può stare tranquillo: la Protezione civile, con i suoi volontari e il suo lavoro di servizio non dà fastidio proprio a nessuno, anzi. Quello che invece dà fastidio eccome è la sua gestione privatistica, la tendenza a fargli assumere compiti che con l’emergenza hanno poco o nulla a che fare e i tentativi, poi falliti, di trasformarla in una società per azioni.
Quanto a lamentazioni, però, il numero uno resta il presidente del Consiglio, l’uomo che ha presieduto più volte nella storia repubblicana il governo per accorgersi, dopo 15 anni di potere, che la Costituzione non va e che ha le mani legate; l’uomo che possiede direttamente tre tv, controlla quella pubblica e tuona perchè ha tutta l’informazione contro; l’uomo che ha scoperto l’importanza della privacy a 73 anni. Non per interesse personale, ma per “amore degli italiani”. Ovviamente.
di Emiliano Condò