Mille euro al mese i parlamentari, milleseicento euro in tre anni gli impiegati pubblici, millecinquecento euro l’anno i dirigenti della Pubblica amministrazione che guadagnano 120mila euro ogni dodici mesi. E la stessa cifra vale per magistrati e medici e chiunque pagato dallo Stato con stipendi di analoga entità. E’ questo il “prezzo” della manovra in busta paga: quello che uno va subito a vedere, controllare, commentare. E’ la “copertina” del libro della manovra. Mille euro sono l’equivalente del taglio del dieci per cento di due terzi di quanto guadagnano onorevoli, senatori e ministri: diecimila euro che diventano novemila. Gli altri cinquemila circa di rimborsi restano intatti. Milleseicento euro in tre anni sono la risultante in moneta del blocco dei contratti dei pubblici dipendenti appunto per tre anni, risultante che contiene il mancato adeguamento di salari e stipendi all’inflazione per il triennio. Insomma le buste paga pubbliche non calano ma non si adeguano, in totale “restano indietro” di circa 550 euro annui. Millecinquecento euro è quanto prenderanno in meno i manager pubblici e i professionisti pagati dallo Stato. Con un meccanismo per nulla spiegato dai Tg le cui tabelle traggono in inganno. Non il “cinque per cento in meno” per chi guadagna novantamila euro, ma il cinque per cento in meno sulla parte dello stipendio oltre i novantamila. E non il “dieci per cento in meno” per chi guadagna 150mila euro, ma il dieci per cento in meno sulla parte oltre i 150mila.
La “copertina”, come ogni copertina di libro, affascina e intriga. Desta malumori e consensi, è la “faccia” del libro della manovra. Ma poi il libro va sfogliato. E, leggendolo, si vede che il “più” della manovra non è appunto nella copertina. Dei 24 miliardi in due anni, circa 15 vengono da tutt’altro che dai tagli e frenate alle buste paga. Vengono dai soldi che lo Stato darà in meno a Regioni e Comuni. I quali dovranno dunque spendere meno in servizi ai cittadini, in stipendi grandi e piccoli, in iniziative necessarie o inutili. Se non ce la faranno, come nel caso della Sanità, che tassino i loro cittadini. Altri sei, sette miliardi dei 24 complessivi dovranno venire da un “taglio” all’evasione fiscale. Redditometro, ritenuta alla fonte dei pagamenti in bonifici, accertamenti più veloci, tracciabilità dei pagamenti sopra i cinquemila euro (vietato pagare ottomila in quattro assegni da duemila, per limite si intende il costo totale della prestazione che non può essere frazionato). Tre miliardi in meno di evasione fiscale all’anno significano un “taglio” dell’evasione fiscale inferiore al tre per cento dell’evasione stimata a circa 115 miliardi annui. Non una carezza ma neanche una mazzatta agli evasori, diciamo un graffio che lascia la pelle arrossata. Circa 15 più circa sette fanno circa 22 miliardi. Tutto il resto è “contorno”. Utile e doverso contorno ma non più di tanto.
Infatti i risparmi dall’allungamento di fatto (dodici mesi) dell’età pensionabile, la cosiddetta “finestra mobile” verranno in un futuro a medio termine e non subito. La nuova normativa serve soprattutto ad “abituare” all’idea che si andrà in pensione più tardi. E il gettito della “razionalizzazione fiscale” delle case esistenti ma ignote al Catasto sarà relativamente poca cosa se non si trasforma strada facendo in condono edilizio. La misura sembra più la costituzione di una “riserva” cui potranno pescare Comuni in difficoltà finanziaria. E, anche se sacrosanti, i soldi che lo Stato risparmierà tagliando dal tre al dieci per cento gli emolumenti di consiglieri comunali e regionali sono poca anche se felicemente simbolica cosa.
Infine nel “libro” c’è anche la pagina della “brutta figura”. I rimborsi elettorali, cioè il finanziamento di Stato ai partiti che doveva essere dimezzato, si sono all’ultima ora praticamente salvati: mini taglio solo del dieci per cento.
Andiamo dunque all’ Indice del libro, ai suoi “Capitoli” e vediamo che libro è: pagano la manovra gli Enti locali, è una “prova tecnica” di federalismo. Pagano, o si tenta di far loro pagare, gli evasori. Pagano poco ma pagano. Pagano, smettendo di incassare, dipendenti e manager pubblici. Paga un po’, solo un po’, “l’industria della politica”. Centottantamila “addetti” anzi eletti. Un costo complessivo di quattro miliardi. Intaccato e tagliato di qualche centinaio di milioni. E il “niente tasse” di Berlusconi? Mezza verità: tutti i “non toccati” dalla manovra pagheranno qualcosa sotto forma di tariffe dei servizi pubblici che cresceranno e sotto forma di pedaggi, quelli stradali per primi. Non molto ma sempre tasse sono.
Al “Libro” comunque va messo il “timbro”, entro il 25 luglio. Fino a quella data ci proveranno in molti a strappare qualche pagina. Hanno cominciato le dieci Province tagliate. Ci provano i magistrati e i medici. Non è da escludere ci provino anche i parlamentari e i manager pubblici. Ci sarà una grande attività di scappa e fuggi delle categorie. Ma anche questo sarà rumoroso “contorno”. Il vero problema sarà di Regioni e Comuni. Andranno in difficoltà quelli del Centro-Sud che usano la spesa pubblica come assistenza, ammortizzatore sociale e fabbrica elettorale. Effetto voluto da chi la manovra la firma: Tremonti e Bossi. Ma i conti li dovranno rifare anche al Nord, pareggiando entrate ed uscite: al Nord sarà più facile ma non automatico.
Ultimissima pagina, quella del “dare e avere” elettorale. Il Pdl ci rimette qualcosa, soprattutto al Sud. Pdl che ha meno da temere dallo scontento dei pubblici dipendenti che a maggioranza votano già a sinistra. Non ci rimetterà il patrimonio di consensi della Lega. Chi ha fatto la manovra ha fatto anche di questi conti, conti accessori e collaterali perchè la manovra era davvero indispensabile. Però, anche questi son conti…Colpita la spesa pubblica, con mano federalista. Toccata l’evasione fiscale. Appena limata la spesa per la politica. E una polverina sottile di tasse sparse. Questa la manovra e chi la paga.