ROMA – Era entrato al ministero con l’obiettivo di fare più e meglio per la Cultura, se ne è andato quando ha constatato che non c’era l’impegno del governo a stanziare quei fondi necessari a quel progetto. Andrea Carandini, uno dei più noti archeologi italiani, ha lasciato il suo ruolo di presidente del Consiglio superiore dei Beni culturali. Troppi tagli, la cultura in Italia non ha spazio nei bilanci del governo, e così lascia un ministero già ampiamente senza timone, con lo stesso ministro Sandro Bondi che da settimane chiede che le sue dimissioni vengano accolte.
La ”constatazione dell’impossibilità” da parte del ministero dell’opera di tutela e di sviluppo del patrimonio culturale ”stante la progressiva e massiccia diminuzione degli stanziamenti di bilancio”: così Andrea Carandini ha motivato in una lettera le sue dimissioni, ”irrevocabili”. E il Consiglio Superiore, ”condividendo le considerazioni del Presidente Carandini”, ha sospeso la seduta in attesa che il ministro compia ”un atto politico responsabile che garantisca il positivo interessamento del Parlamento e del Governo riguardo la drammatica situazione i cui versano i beni culturali”.
Immaginiamo che Carandini avesse accettato, nel febbraio 2009, l’incarico istituzionale con l’entusiasmo che ha dimostrato quando, non più tardi di due mesi fa, scrisse una lettera appassionata al Corriere della Sera. Allora prendeva spunto dal sapere sempre più annacquato che viene proposto alla giovani generazioni, arrivando a una conclusione amara: “Abbiamo ingannato i giovani, dando loro vino sempre più annacquato, conservato in bottiglie con l’alloro sull’etichetta: ma il simbolo più non illude”. Scriveva: “Oggi, dopo generazioni di egualitarismo, che ha pericolosamente ravvicinato l’asino al sapiente, la qualità culturale si è straordinariamente abbassata, anche se il bisogno di cultura si è invece esteso”. Sembra un autodafé: “Un certo egualitarismo inintelligente, diffuso tra noi, ha frenato gli spontanei e liberi processi di differenziazione culturale, il bisogno di elevazione umana. Così le opere della libertà, che sono necessariamente diseguali, rischiano di essere svalutate, dissipate, mutilate. Allora le qualità umane da eccellenti diventano mediocri e — peggio — si diffonde un amore sconsiderato per la mediocrità: come è bello essere ignoranti, protervi, urlatori, volgari!” . Chiaro il riferimento al mondo universitario: “Il merito nella ricerca era il solo metro di giudizio per l’avanzamento negli studi. Libri, archivi, antichità, belle arti, monumenti e paesaggi costituivano il serbatoio nazionale della memoria su cui si edificavano persone e personalità, che ora si plasmano invece su insistenti pubblicità e consumi sempre più inattraenti”.
Le dimissioni assomigliano così una sconfitta e se lo è nella cosiddetta “stanza dei bottoni”, al vertice, figurarsi tra chi nemmeno può decidere e disporre, tra chi lavora in quei musei, siti archeologici, teatri, set cinematografici, biblioteche e archivi che ogni giorni vivono grazie ai fondi che arrivano dai palazzi del potere. E l’amministrazione della cosa pubblica, nel settore Cultura, dev’essere così difficile, che dal 2008 a oggi ormai non si contano più le dimissioni. Carandini, presidente del Consiglio dal 24 febbraio 2009, prese il posto Salvatore Settis, dimissionario in polemica con il ministro Bondi. E allora erano già 5 (su 18) i membri del Consiglio superiore che avevano sbattuto la porta in faccia a Bondi: insieme con Settis avevano fatto le valigie Andrea Emiliani e Andreina Ricci; per ultimi se ne sono andati anche il Professor Cesare De Seta e Mariella Guercio, presidente del Comitato Archivi. Una volta insediato Carandini sembrava voler aprire una polemica neppure troppo velata con il predecessore, rivendicando una valutazione “meno pessimistica” della situazione culturale italiana e della politica del governo e annunciando di voler “valutare tutto senza ideologie, lasciare che il governo sperimenti e poi giudicare dai risultati”.
E con i tagli alla cultura lo spazio di manovra e di “sperimentazione” dev’essere stato talmente esiguo che non c’era bisogno di aspettare i risultati.