ROMA – Il giudice Paolo Maddalena, membro della Corte Costituzionale, rinuncia formalmente alla presidenza. In qualità di membro più anziano, per una prassi consolidata, sarebbe dovuto succedere al presidente uscente Ugo De Siervo. Ma, come spiega in una lettera inviata ai suoi colleghi, ha dovuto constatare la convinzione maturata in seno alla Consulta, di non seguire più il criterio dell’anzianità. La questione, ovviamente, è politica. In sospeso ci sono i due conflitti di attribuzione sollevati contro i magistrati di Milano: uno dalla Camera per il processo Ruby e uno dal Governo per quello su Mediaset-diritti tv. E certo il clima di contrapposizione virulenta sui temi della giustizia non aiuta.
La ricostruzione di Antonella Mascali sul Fatto Quotidiano sul mancato incarico a Maddalena è vista nell’ottica di una giubilazione di sapore politico, una manovra interna alla Consulta per favorire gli interessi di Berlusconi. Tuttavia è vero che nella sua lettera, Maddalena offre una lettura molto positiva dell’automatismo che premiava il criterio dell’anzianità. Il ragionamento sotteso è che “questo criterio ha il pregio oggettivo di evitare conflitti interni, rischi di accordi e alleanze che potrebbero influire sulla libera decisione dei giudici”. Insomma un rete di sicurezza contro l’ingerenza dei partiti, un argine per preservare l’istituzione dalla battaglia politica.
Il principio della nomina del più anziano è stata valida anche per quei membri a un passo dalla pensione, come è il caso di Maddalena, che avrebbe dovuto lasciare il 30 luglio. Precedenti illustri di presidenze brevi ci sono: Caianiello con 48 giorni, Vassalli e Conso con 90 giorni. La strada ora sembra spianata per Alfonso Quaranta, giudice considerato gradito al centrodestra e che, sostiene Il Fatto, si è opposto alla presidenza Maddalena. Una vendetta, suggerisce ancora Il Fatto, per aver votato contro Lodo Alfano e legittimo impedimento. Nel giudizio poco lusinghiero verso Quaranta da parte del Fatto pesa anche il suo ruolo come capogabinetto dell’allora ministro democristiano e plurinquisito Remo Gaspari.
La “campagna elettorale” all’interno della Consulta è dunque entrata nel vivo. Lunedì 6 giugno conosceremo il verdetto. Quaranta, sulla carta, ha almeno 9 voti e considerando che il parlamentino della Corte è formato da 15 elementi, avrebbe la maggioranza in tasca. Non è da escludere però un’alzata di testa di quanti non si rassegnano a eleggere il presidente sulla scorta di accordi sottobanco lesivi del prestigio della Corte.