Il governo come la Torre di Pisa: pende, pende ma non vien giù, mai. Pende, al di là del previsto e del prevedibile, sulla manovra di taglio alla spesa pubblica. Taglio relativamente moderato rispetto a quanto si fa e serve in ogni paese europeo: 25 miliardi per noi in due anni, 100 in Francia in tre anni, 80 in Germania in tre anni, 50 miliardi di sterline in Gran Bretagna in un biennio. Ma a ribellarsi alla manovra non è solo l’opposizione, ostacolo alla manovra fanno i governi locali targati centro destra e in Parlamento è tutto un fiorire di malumori ed emendamenti contro i tagli. Insomma Tremonti taglia e la sua maggioranza fa resistenza passiva, talvolta addirittura attiva.
Pende la torre del governo sul suo asse centrale: il federalismo. Lo annuncia, comincia ad applicarlo. E nel Lazio nasce addirittura un’alleanza bipartisan, da Alemanno a Veltroni, per fermare la logica federalista per cui chi è pieno di debiti o smette di farne oppure tassa i suoi cittadini. E Formigoni si allea con Errani in nome delle Regioni “virtuose” che non possono essere trattate come quelle “viziose”. E le Regioni “viziose”, Campania e Sicilia in testa, anche se sono governate dalla destra, non ci stanno.
Pende il governo, oscilla addirittura la torre sulla legge detta delle “intercettazioni”. Il capo dello Stato comunica che non n e può più, che la legge è sbagliata nei punti che tutti conoscono, di fatto annuncia che se non cambia la legge lui non la firma. Bocciano la legge il Procuratore Grasso, responsabile dell’antimafia. La boccia il quotidiano della Confindustria e la boccia perfino Feltri e il suo “Giornale”. E altrettanto fa l’ambasciatore statunitense. E Fini presidente della Camera pone il problema niente meno se in questa legge vi sia o no la voglia, l’intento di venire meno al principio di legalità. La bocciano magistrati, avvocati, costituzionalisti, giornalisti. La stessa maggioranza che la sta votando sa che così com’è rischia non solo il rifiuto di Napolitano ma anche la censura della Corte Costituzionale e quindi il referendum abrogativo. Perfino i sondaggi di opinione raccontano di un ‘opinione pubblica, anche di destra, anche leghista, diffidente, contraria, o al massimo indifferente verso la legge.
Pende, pende, eppur non vien giù e giù non verrà. Perchè? Perchè a sostenerla la torre del governo c’è la maxi trave dell’abitudine. Sì, l’abitudine, ancor più della poca e insipida alternativa, è quella che consente al governo Berlusconi di sfidare la legge di gravità della politica. Ci si è abituati ad esempio a convivere con frasi e tesi pazzesche. Eccone una: l’immunità dai processi per i governanti deve valere anche per processi ed eventuali reati iniziati e commessi quando i governanti neanche erano politici o ministri. Motivo? Difendere i governanti dal “fumus”, dalla voglia di magistrati di perseguitarli. Ma come potrebbero i magistrati aver voglia di perseguitare politici e ministri prima che questi diventino tali. Con la palla di vetro? Indovinando che domani saranno famosi e potenti? E una tesi da matti, eppure ci si sta abituando.
Altra follia logica: niente pubblicazione delle intercettazioni e degli atti di indagine per tutelare la privacy. Bene, e allora perchè vietare, rendere difficili al limite dell’impossibile le intercettazioni? Qual è la logica per cui se non si vogliono veder pubblicate le indagini, si “tagliano” le indagini stesse. Non certo una logica di privacy, in questo caso basta e avanza comminare pena e galera a chi pubblica. Invece, oltre a questo, si limita il tempo e il modo delle intercettazioni, si consente di rifiutare il magistrato inquirente al minimo pretesto, si salva la privacy dalle indagini e dalla giustizia e non dalla stampa. Anche il centro sinistra era insofferente verso la stampa che pubblica, il centro destra di Berlusconi fa altro e di più: taglia, ostacola e di fatto vieta le indagini. E’ pazzesco ma ci si sta abituando.
Ci si abitua al fatto che Ghedini, avvocato del premier e parlamentare, dica a Napolitano che se vuole fare osservazioni alla legge, allora “si faccia eleggere”. Ci si abitua alla sua bugiarda e simulata ignoranza: Napolitano non è diventato capo dello Stato per concorso statale, è stato eletto dal Parlamento. O Ghedini si è abituato all’idea che il Parlamento, se non è da abolire, non conta più nulla? Ci si abitua, come fosse la cosa più naturale del mondo, al fatto che Bossi spieghi e motivi il “mercato”, sentenzi che il “prezzo è giusto”. Dice il leader della Lega: “Ci dà il federalismo, a Berlusconi qualcosa bisogna pur dare”. Ci si abitua al fatto che, raggiunto da mandato di cattura, si possa restare responsabile regionale del partito e sottosegretario al governo, è il caso di Nicola Cosentino. Ci si abitua al fatto che Fini, presidente della Camera, possa dubitare in pubblico che “uno venga fatto ministro solo per non farlo andare in Tribunale”. Ci si abitua e si racconta e accoglie la cosa come “contrasto interno al Pdl”. Ci si abitua che Brancher resti ministro non si sa a che. Ci si abitua agli ex ministri che dichiarano che gli è stata comprata casa “a loro insaputa”.
Ci si abitua a tutto, gli umani sono specie altamente flessibile e adattabile all’ambiente. E l’Italia si è abituata, adattata, assuefatta, accomodata, rassegnata. Per cui il governo che pende non cadrà. Alternativa non c’è, stabilità nemmeno. Appena finito il taglia e cuci sulla manovra, in autunno i conti pubblici diranno che ce ne vuole un’aggiunta, se non proprio un’altra. Se e quando il federalismo diventerà cosa concreta si vedrà che, se funziona, “costa” meno spese e più tasse. La legge anti indagini detta delle intercettazioni, se e quando sarà votata, sarà un “Vietnam” istituzionale, giuridico e politico. Ma la Torre Governo non verrà giù. Se non quando il “Castellano” deciderà di fare quello che sa meglio fare: una campagna elettorale. Appuntamento fissato al 2011 nella testa di Berlusconi. Il miglior antidoto al poco governo, il miglior surrogato all’eterna pendenza? Una fune di carta, carta di schede elettorali. E’ questa la grande idea, idea da pazzi, eppur funziona, ormai è “abitudine”.