
Il Gran Consiglio del berlusconismo si รจ riunito per lasciare a Gianfranco Fini una sola strada: quella di tornare a casa con le orecchie basse. Silvio Berlusconi ha spiegato ai 37 dell’ufficio di presidenza del Pdl che i problemi sollevati da Fini sono a suo giudizio inesistenti o addirittura pretestuosi: non รจ vero che comanda la Lega, non รจ vero che la riforma costituzionale si scrive seduti intorno ad un tavolo conviviale con posti e “pietanze” prenotate solo da Bossi e Calderoli, non รจ un’offesa nรจ di forma nรจ di sostanza che alla riunione sia invitato Renzo figlio di Umberto consigliere comunale e non il presidente della Camera. L’unica cosa vera secondo Berlusconi รจ che “Fini ha deciso, vuole fare i suoi gruppi parlamentari”. Quindi, se insiste, che vada: chi rompe paga e i cocci sono suoi. Cosรฌ Berlusconi l’ha raccontata e riassunta al gruppo dirigente del partito. Su questa ricostruzione dei fatti e delle intenzioni si รจ fatto mettere la firma dai 37: รจ stato questo il senso della riunione del pomeriggio e delle “comunicazioni urgenti” del premier. Carta canta e ora Fini puรฒ, dopo l’ufficio di presidenza del Pdl, sempre “abiurare”, politicamente umiliarsi. Oppure rischiare l’osso del collo, terza possibilitร non gli รจ data. Non ingannino i toni apparentemente “dialoganti” del dibattito seguito all’introduzione di Berlusconi: la stessa parola d’ordine, piรน o meno da tutti rispettata, che vuole “piccola e risolvibile cosa” la mossa di Fini รจ di fatto la richiesta di una dichiarazione di resa.
Se sarร crisi politica o scissione del Pdl, la si potrร con fantasia giornalistica chiamare la “Crisi Gasparri”. Di Gasparri e di La Russa Fini aveva chiesto la sostituzione almeno ai vertici del Pdl. Figurano entrambi, nella ipotetica ripartizione 70 a 30 per cento, nella “quota” ex Alleanza nazionale. Ma Fini da tempo li calcola come berlusconiani a tutto tondo. Ed รจ forse Gasparri l’incarnazione di una storia recente. La storia che racconta come ci fosse una volta, neanche tanto tempo fa, in Italia una destra. Una destra che trovรฒ in Berlusconi lo “sdoganatore”, il manager, il finanziatore, il leader. Fini ci ha aggiunto anche il “compratore” e quando ha usato questo termini pensava soprattutto al “fenomeno Gasparri”. Era una destra della legge dell’ordine. Anticomunista ma custode gelosa dell’idea di Stato. Destra nazionale e anche nazionalista. Questa destra non c’รจ piรน, fagocitata, inglobata dal berlusconismo. Ci puรฒ essere oggi in Italia una destra cosรฌ, ci puรฒ essere con Berlusconi? Fini pone questo problema che sembra astratto, politologico ma che invece รจ carne e ossa della vita reale del paese.
Al posto della destra nazionale e della legge e dell’ordine c’รจ il “leghismo”. Che non รจ solo e soltanto la Lega Nord di Bossi. C’รจ un “leghismo” il cui senso non รจ tanto e solo il privilegiare il Nord del paese quanto una pedagogia politica, un messaggio al paese che dice: ognuno per sรจ. C’รจ un processo giร disegnato per cui la Lega ottiene il federalismo e Berlusconi una leadership centrale benedetta da un’elezione diretta. Quindi un paese che si dร come regola l’autonomia fiscale, amministrativa e di potere, insomma la regola che ognuno si fa le sue regole. E al centro un leader il piรน possibile svincolato da ogni regola di Stato. Questo alla destra cui pensa Fini non appare un “paese dell’ordine” ma il suo contrario. Bossi che dice: le banche a chi vince le elezioni e quindi i soldi delle banche a chi vota “giusto” รจ stato per Fini la classica goccia che fa traboccare il classico vaso. E quindi Fini ha provato a vedere se la destra, la sua destra, esiste ancora. O se invece ha tutta seguito la “parabola Gasparri”. Fini sta contando quanta destra delle leggi e dell’ordine รจ rimasta in Parlamento. Poca, tanta, non si sa. Forse venti/trenta tra deputati e senatori. Forse addirittura il doppio. Fa una grande differenza e Berlusconi sta lavorando con qualche successo al processo di sottrazione alla “moltiplicazione dei Gasparri”. Dalla conta dipenderร molto delle cronache politiche delle prossime settimane e mesi.
Ma la vera questione รจ altra: c’รจ nel paese una destra come quella che pensa Fini? Probabilmente no, probabilmente quella destra รจ minoranza nella societร . Perchรฉ รจ una destra che corre il rischio del cambiamento, una destra riformista. Al contrario il berlusconismo offre all’elettorato e alla societร una prospettiva meno stressante: nessuna riforma della societร se non quella dei poteri di Stato. Nessuna fatica di scegliere in economia, nessun riassetto della geografia corporativa che รจ il disegno e la struttura reale del paese. E il leghismo รจ altrettanto rassicurante: ciascuno padrone in casa sua, sul suo territorio. L’unico vero cambiamento รจ chiudere la porta di casa al “gelo” che fuori spira. In singolare e sintomatica analogia una destra riformista รจ sempre stata minoranza nella storia d’Italia cosรฌ come minoranza รจ una sinistra riformista nei fatti e non solo nelle parole. Succede nella storia d’Italia da molto prima che Berlusconi e Fini e pure Bersani e Di Pietro nascessero al mondo. E’ la nostra storia, quella che condanna Fini ad aver storicamente ragione ma elettoralmente torto. Basta accendere una radio qualsiasi e sentire le telefonate della gente comune: รจ Fini a fare “disordine”, della destra dell’ordine si nรจ smarrita persino la memoria. L’idea che chi vince le elezioni governa dentro le regole, idea cardine della destra dell’ordine, รจ ormai nel senso e nel sentir comune travolta dall’idea che chi vince le elezioni si prende tutto, anche le regole, e ne fa quel che vuole.
Alla fine della sua introduzione-racconto ai 37 dell’ufficio di presidenza del Pdl Berlusconi non ha tratto esplicite conclusioni: la “conclusione” era giร nel suo racconto. Racconto che deve essersi concluso con una muta domanda: c’รจ in questa sala la destra invocata, rivendicata, inventata da Fini? Gli occhi di Berlusconi devono esser andati a incrociare quelli di Gasparri. E gli occhi di Gasparri hanno risposto: non c’รจ e io ne sono la prova.
