Queste sono però solo schermaglie perché la partita vera si giocherà a Roma. Un conto è disertare un parlamento regionale, altro discorso è invece abbandonare il Parlamento riunito in seduta congiunta e in presenza del Presidente della Repubblica. Anche perché, con ogni probabilità, Napolitano non tollererebbe un gesto simile.
Se la Lega domani deciderà di disertare l’aula, di non presentarsi se non con la foglia di fico i suoi ministri, o se deciderà in qualsivoglia modo di contestare le celebrazioni o l’inno, sceglierà, questa volta, di insultare l’Italia. Gli uomini di Bossi hanno sempre “giocato” a dileggiare il nostro paese, a chiedere, tra il serio e il faceto, la secessione della cosiddetta padania. Hanno sempre “giocato” a interpretare il ruolo di quelli che non amano l’inno, rispolverando Va Pensiero che non si capisce in realtà secondo quale logica apparterrebbe al Nord e non all’Italia tutta, si sono sempre divertiti i leghisti a sventolare le bandiere veneziane piuttosto che quelle di altre città del Nord. Anche se nessuno li ha in fondo mai pesi troppo sul serio. Rischiano però domani di fare un salto di qualità nella loro isteria anti italica perché un conto è non riconoscersi, la libertà di pensiero è un diritto di tutti, ma altra cosa è passare a degli atti di vera e propria ostilità. Perché sottrasi, negarsi al Parlamento riunito in sessione congiunta, disprezzare l’inno e non mostrare il minimo di rispetto dovuto al Presidente della Repubblica, è un vero e proprio atto d’ostilità.
Se un atto d’ostilità nei confronti dello Stato non è tollerabile da nessuno, ancor più intollerabile è se l’autore di un atto simile è una forza parlamentare e, ancor di più, se è parte del Governo stesso del Paese. Se domani la Lega perseguisse la sua decisone “furbo-aventiniana” smetterebbe in qualche modo, se mai lo è stata nel senso classico del termine, di essere “classe dirigente”. Classe dirigente che, storicamente intesa, ha il ruolo e il compito di mediare le istanze di popolo e di stomaco per trasformarle in riforme e in comportamenti parlamentari. Il parlamentare leghista non può, ed è quello che sta rischiando di fare, mettersi le corna in testa come ai raduni del suo partito e inneggiare ai druidi quando siede a Montecitorio o Palazzo Madama. Il suo ruolo gli imporrebbe di convogliare il sentimento espresso con le corna in testa dai suoi elettori in una riforma, che la Lega ha voluto e quasi ottenuto, che si chiama federalismo. Il federalismo è infatti la faccia pulita, realistica, concreta e forse anche giusta di quello che il popolo di Bossi urla e chiede con la parola secessione. Anche perché una secessione, e dovrebbero saperlo i parlamentari leghisti, non solo non è praticabile dal punto di vista legale, etico, storico, politico. Ma sarebbe anche una sciagura economica per le stesse regioni “nordiste”. E proprio nel mediare tra queste istanze di stomaco e la loro traduzione politica è stato e sta il ruolo e la forza della Lega. Abdicare questa posizione per trasformare il Parlamento nel raduno di druidi, oltre ad essere un insulto al Paese, al Presidente della Repubblica, sarebbe persino tradire i propri elettori e, rischierebbe persino, la Lega così facendo, di trasformarsi in un interlocutore non istituzionalmente affidabile. Giurano infatti i ministri e si attengono i parlamentari tutti alla nostra Costituzione, disertare domani l’aula equivarrebbe a negare quel giuramento. E se il compito di qualsiasi parlamentare è, o sarebbe, quello di perseguire il bene comune, come si può considerare affidabile chi quella Costituzione, quel giuramento e quel Parlamento insulta? La eventuale libertà od obiezione di coscienza invocata sarebbe solo una prova provata di incoscienza civile.