Da non dimenticare quei sette…più uno: tre “coscienze”, quattro “quaquaraqua” e una “faccia”. I primi sette hanno fatto gruppo ma non vanno messi in gruppo. Erano e sono tutti deputati, ma l’analogia finisce qua. “Coscienze” sono stati nel giorno e al momento del voto Silvano Moffa, Katia Polidori e Maria Grazia Siliquini. Stavano con Fini, sono andati con Berlusconi. Moffa dopo aver detto che votava la sfiducia ha sottratto se stesso al voto. La Polidori dopo una notte raccontata come di pianto ha votato la fiducia, la Siliquini era l’unica dei tre ad aver fatto capire prima quel che avrebbe fatto dopo dicendo alla vigilia che avrebbe “interrogato la sua immagine allo specchio di casa”. Hanno cambiato bandiera e scelta all’ultimo minuto e per questo Fini li ha detti con amara ironia “folgorati sulla via di Damasco”. Non sono stati fulgidi esempi di coerenza e neanche, avrebbe detto Sandro Pertini, uomini e donne “verticali”. Ma se dicono di aver interrogato, interloquito con la loro “coscienza”, umana e politica, almeno in parte vanno creduti. Erano stati eletti nelle liste del Pdl, avevano sostenuto il governo Berlusconi, si sono contraddetti, hanno tentennato, hanno mosso i passi della quadriglia ma una logica e una decenza minima nel loro votare alla fine c’è. Tre “coscienze”, forse troppo deboli, forse troppo “tempestive”, ma sempre tre “coscienze”.
Non così Massimo Calearo, Bruno Cesario, Domenico Scilipoti e Antonio Razzi. I primi due eletti nel Pd, gli altri due eletti nell’Idv. Calearo, Cesario e Scilipoti hanno prima fatto finta di fondare il “partito della tripla”, erano in tre e si erano distribuiti ai blocchi di partenza: uno avrebbe votato la sfiducia, uno la fiducia e uno si sarebbe astenuto. Ma tutti nello stesso “partito”, non sia mai…Ovviamente il “partito” battezzato della “responsabilità”. E per essere “responsabili” fino in fondo e a scanso di equivoci hanno fatto in modo di essere in aula gli ultimi a votare, in modo da non sbagliare e da non trovarsi, dio non volesse, dalla parte perdente. Uno aveva gridato a suo tempo a Berlusconi tre volte “Vergogna”, l’altro si era proclamato la “politica morale” in Campania, il terzo si era detto apostolo tradito dell’agopuntura. E Razzi, il quarto, poche settimane fa era andato per ogni radio, giornale e tv a dire che aveva coraggiosamente respinto l’offerta di estinguergli il mutuo. Queste non sono “coscienze” in un dramma politico, sono macchiette in una italiota commedia: “quaquaraqua”.
L’ottavo ha una “faccia” e l’ha difesa. Si chiama Paolo Guzzanti. La faccia l’ha difesa non tanto perché ha votato contro Berlusconi ma perché gli hanno reso impossibile votare a favore. Sallusti direttore del Giornale che gli sventola in diretta tv la “carota” dei settemila euro al mese di collaborazione, il premier che gli dedica una parola caritatevole nel discorso in aula…Guzzanti ha capito che ci avrebbe rimesso la faccia e quindi l’ha salvata, la prima cosa cui pensa e in fondo l’ultima cosa a cui tiene un umano che si vuole bene.