Nel mondo reale di oggi ci sono i politici, quelli veri e non quelli delle favole. Dicono tutti che la colpa di tutto è che “non ci sono soldi”. Per gli argini, i restauri, la raccolta dell’immondizia. Poi scopri che nel reame si spendono 770 miliardi di euro all’anno di pubblico denaro. Ma chi vuole scoprirlo davvero? Non risulta in Parlamento un solo emendamento, uno solo di maggioranza o opposizione, per destinare parte di questa spesa a contenere i fiumi, pulire le città , restaurare e proteggere i templi. Non risulta una sola manifestazione di piazza per destinare soldi alla prevenzione delle alluvioni o alla salvaguardia di Pompei. Non c’è un solo governo di landa e di contea che abbia tolto qualche milione o miliardo di spesa da qualche altra parte per fermare i fiumi o la pioggia.
E soldi ce ne sono e ce ne sono stati. Per l’immondizia in Campania miliardi, miliardi che hanno pagato decine di migliaia di stipendi alti e bassi di lavori socialmente inutili. Per Pompei, ma sono stati spesi per i lampioni e per fare scena. Per il Veneto, la landa orientale, ma sono stati spesi per finanziare capannoni e cavalcavia. Dicono i politici del mondo reale che “non ci sono soldi”. Dicono il falso. Dicono che vogliono soldi da Roma o che a Roma non vogliono più pagare le tasse. Mentono due volte. Per pavidità e complicità . Pavidità nei confronti della gente e complicità con la gente. I soldi per il Veneto e per Pompei e poi quelli per la scuola o i giovani senza lavoro ci sono ma andrebbero tolti, sì tolti, a qualche altra cosa e a qualcun altro. Nessuno però dice mai a chi e a cosa si “toglie”. Mentono anche quelli che inorridiscono alla ministeriale frase per cui la “cultura non si mangia”. La cultura si mangia eccome, e fa mangiare se ci si investe. Ma se sulla cultura “ci si mangia” son soldi buttati e maledetti e non utili e benedetti. Questo gli indignati di opposizione non lo dicono mai. Così come i Bondi, i Zaia e i Caldoro mai dicono a chi togliere per dare a Pompei, ai fiumi del Veneto, alla salute di Napoli.
C’era una volta, era il regno di Gandalf, di Camelot o qualcosa del genere, un tempo nella notte dei tempi in cui politici a volte feroci, a volte crudeli praticavano uno strano rito: si assumevano una responsabilità , toglievano a qualcuno per dare a qualcuno, toglievanno a qualcosa per dare a qualcosa d’altro. Rischiavano politicamente e non arricchivano personalmente. Poi venne il tempo del debito e della gente sovrana nei suoi bisogni trasformati in diritti. Fu sconsacrato il tempio dei doveri. Un altro Erodoto dei giorni nostri, una specie di Nostradamus dei numeri dal nome evocativo, Draghi, ha di recente raccontato in una sorta di terzina: “E’ già successo, il reame, questo reame era nel secolo chiamato Seicento una landa ricca e che arricchiva. Poi i politici e i Signori, la gente e il popolo mutarono costumi e cultura e per due secoli il reame impoverì…”.