ROMA – Vogliono vederlo scritto nero su bianco o non se ne fa nulla. Il Pd apprezza le aperture del grillino Luigi Di Maio, che ha detto sì a 8 su 10 punti posti dal Pd sulla legge elettorale, ma chiede al Movimento 5 Stelle di formalizzarle per iscritto, in un documento. Altrimenti, fanno notare i democratici “c’è il rischio concreto che l’incontro di lunedì sia inutile”.
L’ultimatum del Pd ai 5 Stelle giunge a seguito dell’intervista “aperturista, rilasciata dal vicepresidente a cinque stelle della Camera, Di Maio al Corriere della sera. Ma margini per un secondo round sull’Italicum, che i Cinque Stelle continuano a dare in calendario per lunedì alle 15, sembrerebbero ridursi.
“Di Maio dimostri che la sua apertura è sincera”, osserva il deputato Pd Dario Ginefra. Dimostri soprattutto, è l’avvertimento, che sta parlando “a nome di tutto il Movimento. In troppe occasioni il M5S si è reso protagonista di sleali e brusche inversioni di marcia”.
“Anche oggi, per certi versi, le parole di Di Maio appaiono come un pasticcino avvelenato“.
Insomma, gli otto sì alle dieci domande Dem di cui Luigi Di Maio si è fatto portavoce, non bastano. Tutti i nodi, se i pentastellati non vorranno chiudere il confronto, dovranno tradursi in un testo scritto, a partire da quello legato alla governabilità. Così come anche la disponibilità al doppio turno e al premio di maggioranza. O il controllo preventivo della Consulta.
Anche se questa settimana sarà più quella dedicata alle riforme costituzionali che alla legge elettorale, con l’approdo in Aula del disegno di legge Boschi, il dibattito anche interno al Partito democratico sulla riforma del meccanismo di voto si è riacceso. Dopo le critiche di Pier Luigi Bersani, seguite dalle parole di Gianni Cuperlo leader di SinistraDem; “Non c’è un fronte dei guastatori nel Pd che punta al disastro. Togliamo di mezzo questa immagine e si ascoltino – è l’invito di Cuperlo – le ragioni di ciascuno”.
Ma in ballo c’è troppo. Intanto Matteo Renzi può contare sulla tenuta degli accordi con Silvio Berlusconi, che gli ha promesso lealtà rispetto al patto del Nazareno. Ma una corrente di 39 senatori azzurri (su 59) continua a insistere su un Senato elettivo: nodo che agita anche una cospicua parte dei democratici guidati da Vannino Chiti, forte della fronda di 19 senatori dem.
E mentre in casa Pd si continua a discutere, anche gli alleati di governo iniziano a alzare la posta. Ci pensa l’Ncd, con Angelino Alfano che avverte: la riforma del voto così come è non va. Ad iniziare dalle soglie che devono essere cambiate.
“Quella per il premio di maggioranza va alzata al 40%, le diverse soglie di sbarramento andrebbero armonizzate e razionalizzate. Ed è inaccettabile che se in una coalizione la soglia la supera solo un partito il premio vada solo a quello benché guadagnato con i voti di tutta la coalizione”.
Per Fabrizio Cicchitto, Renzi
“non può forzare su materie come la legge elettorale, che non hanno conseguenze in materia di conti ma solo di quadro politico”.
Ma anche l’Udc mostra la propria insofferenza: “L’Italicum così com’è non soddisfa”, dice Antonio De Poli. E per il senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri, “è cominciato il festival del panico dei partitini che vorrebbero soglie più basse”.
Il testo sulla legge elettorale, ora in commissione Affari Costituzionali, dovrebbe approdare in Aula mercoledì prossimo, come stabilito dall’ultima conferenza dei capigruppo. Intanto, come previsto, fino a martedì 8 luglio, prosegue l’esame degli emendamenti in commissione. Se i lavori procederanno spediti come auspicato, l’assemblea inizierà l’esame dei ddl sulle riforme costituzionali a partire dal giorno dopo.