ROMA – Pdl in fermento, il gioco delle correnti volge allo scontro conclamato. Nonostante i vertici assicurino che non c’è nessuno scontro finale e che Silvio Berlusconi non ha nessuna intenzione di mollare, l’agitazione è palpabile e la guerra interna sembra prodursi a colpi di cene. Martedì sera (12 aprile) ci sarà quella della componente di Gianni Alemanno, mercoledì quella dei vicini ad Altero Matteoli, poi quelli di Claudio Scajola.
Il movimento più “clamoroso” resta comunque quello dei ministri di area forzista. Si sono visti nel week end all’hotel Majestic di Roma. C’erano quasi tutti, su invito di Paolo Romani, e la loro riunione ha prodotto più che altro un atto d’accusa contro Giulio Tremonti. E raccontano che a “spronarli” di nascosto in tal senso, come scrive ‘Il Corriere della Sera’, sia stato proprio Silvio Berlusconi, impaziente di ottenere la riforma fiscale.
L’Elefantino rosso di Giuliano Ferrara, però, predica calma e sangue freddo dalle colonne del ‘Foglio’: ”Ma veramente tutte queste riunioni segrete, questi posizionamenti correntizi e le richieste che piovono sul premier da tutte le parti rivelano che in molti pensano di essere già al dopo Berlusconi. Invece stiamo attenti, perché se cade lui restiamo tutti con il culo per terra”.
La richiesta di una tregua certifica quindi che i coltelli sono stati sguainati. E certo proprio alle grandi manovre dei suoi pensava il premier ieri quando ha detto ”mi attaccano da tutte le parti, ma io mi sento nel giusto, vincerò le amministrative e poi ristrutturerò il partito”.
C’e’ chi, da Fabrizio Cicchitto ad Osvaldo Napoli fino a Gianfranco Rotondi, invoca ”unità” in vista della battaglia campale sul processo breve in parlamento, senza ‘irresponsabili” divisioni proprio adesso che si fiuta nell’aria un possibile ‘agguato’ al premier. ”Noi abbiamo avuto l’ordine di scuderia di andare avanti senza polemizzare – spiega Osvaldo Napoli, vicepresidente dei deputati Pdl – se loro vogliono un giorno in più lo avranno”.
Ma è chiaro a tutti che – tra ex aennini indispettiti dalle cene segrete dei ministri pidiellini, leghisti tesi per le scelte su immigrazione e ‘sgarbi’ a Tremonti, scajoliani sul piede di guerra (e, si dice, persino pronti a passare con Casini) – l’incidente è un pericolo reale e le assenze calcolate potrebbero pesare sul piatto della bilancia. Soprattutto se si considera che il conflitto di interesse nei giorni scorsi è passato per soli 10 voti.
Intanto Gianfranco Fini, che quanto al processo breve ha usato un eloquentissimo condizionale (”dovremmo finire mercoledì”), oggi torna nel mirino di chi ne vuole le dimissioni per l’affondo sul ”gregge belante che è andato a soccorrere il governo Berlusconi-Scilipoti”.
”E’ di parte – si inalbera il Pdl – non può piu’ fare il presidente della Camera”. E la richiesta di alzare il tiro arriva direttamente da Arcore, dove il premier chiosa con i suoi ”Fini ha chiarito: sta con l’opposizione contro governo e maggioranza”.