Piero Grasso è uno dei papabili per un dopo Renzi “istituzionale”. Il presidente del Senato, eletto grazie a Bersani, è un possibile premier di un governo che – a differenza di un eventuale esecutivo Padoan – abbia come unico scopo l’approvazione di una nuova legge elettorale per poi andare a nuove elezioni politiche.
“Istituzionale” perché sarebbe un governo di pochi mesi presieduto dalla seconda carica dello Stato e a garanzia di tutte le forze politiche. Grasso, che per il suo profilo non renziano andrebbe bene anche al Movimento 5 Stelle, potrebbe essere un traghettatore che con il suo stile felpato, quasi curiale, porterebbe effetti “sedativi” in un Paese spaccato dopo la lunga campagna referendaria.
Piero, all’anagrafe Pietro, è nato a Licata il 1° gennaio 1945. Entrato in magistratura il 5 novembre 1969, è stato pretore a Barrafranca (Enna) fino al settembre 1972, quando venne trasferito alla Procura di Palermo, luogo chiave della sua vita e della sua carriera. Per 12 anni è stato sostituto procuratore, trovandosi per le mani indagini scottanti come quella sull’omicidio di Piersanti Mattarella, fratello dell’attuale presidente.
Giudice a latere nel maxiprocesso a Cosa Nostra – apertosi il 10 febbraio 1986 e conclusosi il 16 dicembre 1987 con 19 ergastoli e 2.665 anni di reclusione – scrisse una monumentale sentenza di 7.000 pagine articolate in 37 volumi. Nel febbraio 1989 venne nominato consulente della Commissione parlamentare Antimafia, sotto la Presidenza di Gerardo Chiaromonte e, poi, di Luciano Violante.
Nel 1991 Giovanni Falcone lo volle con sé al Ministero della Giustizia. Dopo la strage di Capaci del maggio 1992, prese il posto di Falcone come componente della Commissione Centrale per i programmi di protezione di testimoni e collaboratori di giustizia. Nel gennaio 1993 passò alla Procura Nazionale Antimafia, collaborando alle indagini che portarono alla cattura di Leoluca Bagarella.
Nel maggio 1999 fu nominato, dal procuratore Pier Luigi Vigna, procuratore nazionale antimafia aggiunto. Un ruolo ricoperto fino al 5 agosto 1999, quando venne mandato a dirigere la Procura di Palermo. Sotto la sua direzione sono state eseguiti 1.779 arresti per mafia, catturati 13 latitanti – tra i 30 dei più pericolosi – ottenuti 380 ergastoli e centinaia di condanne per migliaia di anni di carcere. Sequestrati beni per circa 12.000 miliardi di vecchie lire.
Nel 25 ottobre 2005 venne nominato Procuratore nazionale antimafia. L’11 aprile 2006, a conclusione di una strategia investigativa già iniziata quando era a capo della Procura di Palermo si è giunti, dopo 43 anni di latitanza, alla cattura di Bernardo Provenzano. Nell’autunno del 2014 il suo incarico di Procuratore nazionale antimafia si sarebbe concluso e sarebbe potuto restare in magistratura sino al primo gennaio 2020, nel dicembre 2012 decise di dare le dimissioni irrevocabili dall’ordine giudiziario, quando fu candidato nelle liste del Pd al Senato, alle elezioni del 2013.