I sostenitori del sì, quelli che le centrali le vogliono chiudere, partono anche loro dai numeri. Invece che di crisi energetica, però, i loro numeri sono quelli dei disastri nucleari: i morti di Chernobyl e quelli di Fukushima. Gli anni, o forse i secoli, che serviranno in quei posti prima che tutto torni come prima. Poi ci sono le scorie da smaltire: scorie che le centrali non possono far a meno di produrre, che non si possono bruciare e che nessuno vuole tenere. Poi c’è quella sensazione di partire troppo tardi per una cosa essenzialmente inutile. Da qui a 20 anni, è la teoria di chi vuole cancellare il nucleare, l’investimento sulle energie alternative può dare risultati analoghi con impatto ambientale e rischi nettamente inferiori.
Compatte per il sì sono schierate le opposizioni di sinistra dal Pd a Sel, passando per l’Idv di Antonio Di Pietro. Il Terzo Polo, invece, ha optato per la libertà di voto. Contro il nucleare sono in campo anche tante associazioni ambientaliste e numerosi personaggi della cultura e dello spettacolo. Per il sì, seppure con riserva, si è espressa anche l’astrofisica Margherita Hack.
Centrali e ricerca. Nucleare, però, vuol dire due cose: centrali e ricerca. In Italia i due aspetti sono sempre andati a braccetto. E’ la filosofia dell’investire solo in caso di ritorno più o meno immediato: si finanziano studi sul nucleare solo se si possono fare le centrali. Votare sì, quindi, affosserebbe anche il lavoro dell’Agenzia per la sicurezza nucleare, quella diretta da Umberto Veronesi. Eppure ricerca e centrali sono due cose ben diverse. L’astrofisica Margherita Hack, intervenendo nel corso del programma L’Infedele lunedì 6 giugno, l’ha spiegato in modo chiaro. “Voterò sì a malincuore” ha esordito, “sono contraria a questo nucleare ma non voglio che si fermi la ricerca”.
Quella della Hack è la posizione della splendida utopia della conoscenza: ora il nucleare, specie in Italia dove i costruttori hanno spesso mostrato di non rispettare le più banali regole della sicurezza, è pericoloso e inaffidabile. Partiremmo con un ritardo di 20 anni per mettere in moto, tra altre 20, tecnologie che sono già obsolete oggi. Altro conto è la ricerca: servirebbero soldi (tanti) per permettere agli scienziato di lavorare sul futuro, su un nucleare possibile, più pulito e meno pericoloso. I progetti, all’estero, ci sono già. Ma può uno Stato indebitato, quello pronto a vendersi la gestione delle risorse idriche (altri due referendum) ai privati perché non ha un euro da investire per sistemare gli acquedotti colabrodo, pensare di finanziare una ricerca che potrebbe non portare mai frutti? La risposta della scienza è che dovrebbe, quella della politica e dell’economia è che non si può fare. Resta quindi il bivio: nucleare così così o nucleare no grazie. Lunedì pomeriggio l’Italia avrà una nuova risposta.
