ROMA – Le riforme istituzionali o della Costituzione a cominciare da quella del Senato non sono dogmi scolpiti nel marmo ma rispondono a geometrie molto variabili le cui variazioni restano imperscrutabili per i comuni mortali.
Una raccolta di dichiarazioni di politici di sinistra, da Giorgio Napolitano a Matteo Renzi, da Massimo D’Alema a Anna Finocchiaro, contro le riforme che oggi sostengono anzi propugnano è stata offerta dal Fatto in due articoli curati da Salvatore Cannavò:
“Quando Renzi tifava Costituzione” e “Anche Re Giorgio contro la riforma”:
“Come le riforme attuali puntava a scardinare la democrazia parlamentare consegnando centralità all’esecutivo e velocizzando l’iter di formazione delle leggi. Il No del centrosinistra fu in larga parte ipocrita, come poi si è visto. Ma fu pronunciato con chiarezza con il supporto di giornali come l’Unità e la Repubblica. Anche Napolitano, appena eletto presidente della Repubblica, fece capire che con il No si sarebbe potuto avviare un clima diverso”.
Re Giorgio è Giorgio Napolitano , presidente della Repubblica, che, ricorda Salvatore Cannavò, nel 2005, pronunciava un discorso in Senato incui intimava di non stravolgere la Costituzione. Giorgio Napolitano
“si schierò, tra il 2005 e il 2006, contro la riforma costituzionale del centrodestra. E nel novembre del 2005 pronunciò, fresco della nomina di senatore a vita, un intervento molto duro contro il progetto di Berlusconi e Bossi. Al centro della critica il No al rafforzamento dei poteri del premier ma anche i rischi di caos istituzionale e la necessità di procedere con le più ampie maggioranze possibili. Da allora, e poi nel corso della campagna referendaria, Napolitano tornò su questi temi e ribadì l’attaccamento alla Costituzione dei padri fondatori. Esattamente come fanno ora gli oppositori di Renzi. Che per questo vengono duramente accusati di conservatorismo”.
Ecco le parole di “Napolitano/ prima del Colle”:
1 Giorgio Napolitano, discorso al Senato del 15 novembre 2005:
“(…) Quel che anch’io giudico inaccettabile è, invece, il voler dilatare in modo abnorme i poteri del Primo Ministro, secondo uno schema che non trova l’eguale in altri modelli costituzionali europei e, più in generale, lo sfuggire a ogni vincolo di pesi e contrappesi, di equilibri istituzionali, di limiti e di regole da condividere. Quel che anch’io giudico inaccettabile è una soluzione priva di ogni razionalità del problema del Senato, con imprevedibili conseguenze sulla linearità ed efficacia del procedimento legislativo; una alterazione della fisionomia unitaria della Corte costituzionale, o, ancor più, un indebolimento dell’istituzione suprema di garanzia, la Presidenza della Repubblica, di cui tutti avremmo dovuto apprezzare l’inestimabile valore in questi anni di più duro scontro politico.
“Il contrasto che ha preso corpo in Parlamento da due anni a questa parte e che si proporrà agli elettori chiamati a pronunciarsi prossimamente nel referendum confermativo non è tra passato e futuro, tra conservazione e innovazione, come si vorrebbe far credere, ma tra due antitetiche versioni della riforma dell’ordinamento della Repubblica: la prima, dominata da una logica di estrema personalizzazione della politica e del potere e da un deteriore compromesso tra calcoli di parte, a prezzo di una disarticolazione del tessuto istituzionale; la seconda, rispondente a un’idea di coerente ed efficace riassetto dei poteri e degli equilibri istituzionali nel rispetto di fondamentali principi e valori democratici.La rottura che c’è stata rispetto al metodo della paziente ricerca di una larga intesa, il ricorso alla forza dei numeri della sola maggioranza per l’approvazione di una riforma non più parziale, come nel 2001, ma globale della Parte II della Costituzione, fanno oggi apparire problematica e ardua, in prospettiva, la ripresa di un cammino costruttivo sul terreno costituzionale; un cammino che bisognerà pur riprendere, nelle forme che risulteranno possibili e più efficaci, una volta che si sia con il referendum sgombrato il campo dalla legge che ha provocato un così radicale conflitto”.
2 Giorgio Napolitano, dal discorso di giuramento da presidente della Repubblica, 10 maggio 2006:
“Un risoluto ancoraggio ai principi costituzionali non può essere scambiato per semplice conservatorismo. L’unità costituzionale è il sostrato dell’unità nazionale”.
3. Ancora Napolitano:
“È ovvio che le riforme costituzionali devono essere approvate con ampie maggioranze”
Nel 2006, ricorda ancora nell’altro articolo sul Fatto Salvatore Cannavò, Matteo Renzi firmava l’appello in difesa della Costituzione e la sinistra era contro gli stravolgimenti. Matteo Renzi e altri toscani sottoscrissero:
“Dieci sono le ragioni per votare no: un NO a una riforma che stravolge la nostra Costituzione riscrivendo ben 53 articoli, un NO a una riforma che rinvia al 2016 la riduzione del numero dei parlamentari, un NO per non ridurre il ruolo del presidente della Repubblica a quello di notaio che ratifica le scelte altrui, un NO per fermare il progetto che conferisce al premier poteri che nessuno Stato democratico prevede e lo rende sostanzialmente inamovibile, un NO alla rottura dell’unità del Paese”.
Matteo Renzi, Claudio Martini, Massimo Logli, Leonardo Domenici, Emilio Bonifazi, Giuseppe Fanfani tra gli altri.
Era il 2006:
“Il centrosinistra unito, con l’ex presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro a capo del comitato referendario, invitava a bloccare lo “stravolgimento” della Costituzione operato dal centrodestra votando “No” al referendum. Quel testo riscriveva la seconda parte della Costituzione, ridisegnando le competenza legislative di Stato e Regioni, i poteri di governo e primo ministro, le prerogative del capo dello Stato, le funzioni e la composizione di Camera, Senato, Corte costituzionale e Csm, il procedimento legislativo. Matteo Renzi si allineò agli “amministratori toscani” che invitavano a fermare il centrodestra siglando un documento di “10 buone ragioni per votare No”. Quei No sono poi diventati dei Sì, il voltafaccia italico si è consumato”.
Segue una raccolta di massime di politici dell’epoca, ancora vivi e che lottano in mezzo a noi, solo che spingono dall’altra parte.
Massimo D’Alema, 23 febbraio 2006
“I valori costituzionali restano i fondamenti del nostro vivere comune e la carta di identità degli italiani. C’è da domandarsi se è ancora veramente cosi”.
Piero Fassino, segretario Ds, 25 giugno 2006, intervista all’Unità:
“Fermiamoli, vogliono sfasciare la Repubblica. Noi siamo per dare più poteri al premier ma nella riforma non ci sono contrappesi e controlli efficaci”
Dario Franceschini, segretario Pd, il 22 febbraio 2009
“Fino a qualche decennio fa la Costituzione, l’antifascismo e la laicità erano valori condivisi da tutte le forze politiche. Il presidente del Consiglio (Berlusconi, ndr.) ha in mente un Paese diverso. Ha in mente un Paese in cui il potere viene più tacitamente concentrato nelle mani di una sola persona. Questo è contro la Costituzione su cui ha giurato fedeltà”.
Anna Finocchiaro, capogruppo Ulivo al Senato, 9 giugno 2006
“Voto no al referendum contro una riforma costituzionale che non solo è stata voluta solo dal centro destra ma che stravolge l’impianto della nostra Costituzione. Noi siamo per le riforme condivise”.
Pierluigi Bersani, responsabile Programma Ds, 15 febbraio 2006
“Le firme per il referendum e l’analoga iniziativa delle regioni, sono il primo passo della riscossa contro lo stravolgimento di regole condivise che il centrodestra ha compiuto in questi anni. Gli italiani decideranno se preferiscono la Costituzione firmata da Terracini o quella firmata da Calderoni. Ho pochi dubbi sul risultato”.
Luciano Violante, capogruppo Ds alla Camera, 15 febbraio 2006:
“È la prima volta che il referendum viene chiesto dai tre soggetti che ne hanno diritto (regioni, parlamentari e cittadini) nei confronti di una legge che attua uno stravolgimento della Costituzione: il voto degli italiani sancirà l’abbattimento di questa riforma”.
Linda Lanzillotta, ministra per gli Affari Regionali, 26 maggio 2006:
“La riforma costituzionale va eliminata dal campo: bisogna dire No con il referendum per dare il via a una fase costituente vera e condivisa in modo ampio”.