ROMA – Ci sono voluti tre giorni di estenuanti tira e molla, un ultimatum e un incontro saltato. Sono volati stracci e insulti pesanti, ma alla fine il Movimento 5 stelle ha risposto a tutti e 10 i punti posti dal Pd. Per iscritto, come espressamente richiesto dai democratici. Dieci sì, con le dovute osservazioni, scritti nero su bianco in un lungo decalogo apparso sul blog di Beppe Grillo.
L’ex comico, che in un primo momento aveva chiuso al dialogo sbattendo la porta, dopo la decisione del Pd di annullare l’incontro con la delegazione dei Cinque Stelle previsto per oggi lunedì 7 luglio, sembra aver messo da parte l’orgoglio. E rilancia la sfida al Pd, certificando la sua scelta con dieci “sì” scritti in grassetto, alle dieci proposte del Pd su riforme e legge elettorale. Di fatto però sono dieci “nì”, perché per ogni risposta affermativa, c’è un lungo corollario di clausole che lasciano le posizioni piuttosto distanti.
Dieci sì con una premessa:
“Come mai per trattare di legge elettorale con un condannato come Berlusconi non richiedete nulla, né risposte scritte, né lo streaming in modo che tutti i cittadini possano capire cosa vi siete detti? A noi non crea alcuna difficoltà né lo streaming né la lettera. Ma allora perché non fate altrettanto con i vostri incontri con Berlusconi”.
In sintesi M5s propone: un primo turno proporzionale privo di soglie di sbarramento e nel caso in cui nessuno raggiunga la maggioranza al primo turno, è previsto un secondo turno tra i due partiti più votati, al cui vincitore viene assegnato però un premio limitato, solo il 52% dei seggi. Si parla però di premi per liste, non di coalizioni.
Questi i dieci sì dei grillini alle proposte del Pd:
Sì al doppio turno di lista, niente ammucchiate
“Un primo turno proporzionale privo di soglie di sbarramento”, “in caso di superamento della soglia del 50% + 1 dei seggi al primo turno, un premio di governabilità minimo, che consegnerebbe al vincitore il 52% dei seggi”; “nel caso in cui nessuno raggiunga la maggioranza al primo turno, un secondo turno tra i due partiti più votati, al cui vincitore viene assegnato il 52% dei seggi”.
Se il Pd chiede una legge elettorale che garantisca un vincitore, il M5s replica: “Per noi quello che voi chiamate vincitore è il conquistatore di una vittoria di Pirro, che non garantisce in alcun modo la governabilità: speravamo che l’esperienza di vittoria con una schiacciante maggioranza nella scorsa legislatura vi fosse stata d’insegnamento, ma evidentemente non è così. Un modello che assicuri la certezza di un vincitore come quello disegnato nella legge Berlusconi-Renzi non esiste pressoché in nessun sistema democratico al mondo”.
“In ogni caso, al fine di evitare un pessima legge elettorale quale è la legge Berlusconi-Renzi nella sua attuale formulazione, e produrre un testo migliore siamo disponibili a prevedere un ballottaggio che dia ad una forza politica la maggioranza dei seggi, a condizione di evitare che la conquista del primo posto si trasformi in una corsa all’ammucchiata di tutto e il suo contrario (come è stato per l’Unione di Romano Prodi e per le coalizioni guidate da Silvio Berlusconi) che ha provocato la caduta anticipata dei rispettivi governi nel 2008 e nel 2011 nonostante la ‘vittoria’”.
“Ferme restando le obiezioni di cui alla precedente risposta, che potranno tuttavia essere sciolte dalla Corte costituzionale nella sede del controllo preventivo previsto nella riforma costituzionale – scrive il M5S – come già evidenziato siamo disponibili alla previsione di un turno di ballottaggio, nel caso in cui il primo turno non veda nessuna forza politica ottenere la maggioranza dei seggi, con il quale sia possibile attribuire un numero di seggi tali da assicurare a chi ha vinto di avere un minimo margine di maggioranza (la governabilità è un’altra cosa, per noi)”
Senato elettivo irrinunciabile
Si al superamento del bicameralismo perfetto ma, con il Senato delineato così come si evince dal ddl Boschi, l’elezione diretta è imprescindibile.
Sono queste le risposte che il M5S dà ai quesiti numero 8 e 9 posti dal Pd sulla riforma del Senato. Sul superamento del bicameralismo perfetto
“non siamo pregiudizialmente contrari, a condizione che l’esistenza di tale assemblea abbia ancora una precisa funzione nel disegno istituzionale”.
Mentre su un Senato che sia espressione delle autonomie e su un incarico, per i ‘nuovi’ senatori, non più a tempo pieno, il placet del M5S è più critico.
“Il testo che si va formando attribuisce una serie di poteri al Senato (elezione del Presidente, dei giudici costituzionali, dei membri laici del Csm, competenza decisionale nelle leggi di riforma costituzionale ecc.) che vanno molto al di là dei poteri locali e che sono inconciliabili con una formazione di secondo grado, per cui, sul punto, riteniamo che in presenza di tali attribuzioni sia irrinunciabile l’elettività di primo grado dei senatori”, sottolineano i 5 Stelle. “Il problema della retribuzione – si legge ancora nel post – è presto superato: siete disponibili al dimezzamento immediato delle indennità e degli emolumenti di tutti i parlamentari e degli stanziamenti previsti per i gruppi parlamentari? Noi lo abbiamo già fatto. E per farlo non occorrono complessi procedimenti di revisione costituzionale, ma solo volontà politica seria in tal senso”.
Anche il sì al premio di maggioranza per il vincitore è in realtà un no: il M5s identifica solo nell’eventuale ballottaggio quel bonus di seggi che, invece, nei piani di Matteo Renzi andrebbe attribuito al partito, o alla coalizione, che al primo turno ottenesse una maggioranza relativa di suffragi al di sopra di una certa soglia (fissata al 37%).
Quanto alla riduzione dei collegi elettorali e del vaglio della norma da parte della Corte Costituzionale sono vincolati ad un generico “dipende dall’impianto complessivo della legge e da come la si vorrebbe realizzare”.
Sì alla riforma del Titolo V
“Siamo disponibili ad una modifica del Titolo V, sebbene riteniamo che l’impianto proposto nell’attuale riforma non sia funzionale alla risoluzione dei problemi provocati dalla riforma del 2001. Nel merito, la riforma Renzi del Titolo V prevede l’eliminazione sia della competenza concorrente Stato-Regioni, quella in cui lo Stato dettava i principi, con “leggi-quadro” per ragioni di omogeneità e le Regioni vi davano attuazione con le loro leggi, e della competenza residuale regionale, ovvero della clausola per la quale tutto quanto non era di competenza statale o concorrente spettava alle Regioni”
“Nel nuovo quadro vengono definite solo le competenze statali, e quelle regionali non sono più residuali ma sono specificamente elencate. Se il problema che la riforma Renzi mira a risolvere è quello del “chi fa cosa” e quindi del contenzioso che si crea innanzi alla Corte costituzionale bloccando o invalidando numerosissime leggi, non si capisce in che modo questa riforma lo risolverebbe. La nuova definizione di competenze […] Riteniamo che vadano discusse nello specifico le materie da riportare in capo allo Stato, oltre a quelle elencate, quali ad esempio la Sanità”.
Sì abolizione Cnel. Ma scorporata dal resto delle riforme
“Vi chiediamo: considerato che non vi è relazione diretta tra l’abolizione del CNEL e il resto del progetto di riforma, siete disposti a scorporare l’abolizione del Cnel dal resto delle riforme costituzionali, in modo da vederlo approvato ad amplissima maggioranza e in tempi più rapidi?”.
Sì alla riduzione dei compensi dei consiglieri regionali, anche se
“non si capisce in che modo il Parlamento potrebbe intervenire su questa materia, che dovrebbe essere di competenza regionale”.
La conclusione è ancora una volta figlia delle polemiche:
“La nostra massima disponibilità al confronto e al dialogo ci porta a rispondere a tutti i vostri quesiti per la terza volta . Ora, in modo tale che non abbiate più alibi e non possiate più raccontare agli Italiani con la complicità dei giornalisti che il tavolo di lavoro è saltato per colpa nostra”.