Navigazione verso il centro con nelle vele il vento delle firme di 23 deputati e di 13 senatori del Pdl e in tasca quella di un numero imprecisato di parlamentari con altre targhe, compreso una vera e propria squadra del Pd, ex margheriti e post dc, decisi a fare il salto della quaglia. Cosa altro potrebbe fare un ex ministro, ex coordinatore della ex Forza Italia che ha intitolato il suo movimento Fondazione Cristoforo Colombo, ricordandosi di essere un delfino del supercolombista numero uno, il genovese Paolo Emilio Taviani?
Claudio Scajola ci pensava da tre mesi, da quando l’indagine giudiziaria che lo aveva costretto alle seconde dimissioni della sua carriera ministeriale, quella per la casa con vista Colosseo, pagata a sua insaputa” dalla cricca Anemone Balducci & C., stava sfumando senza che il suo nome comparisse mai. Senza che gli fosse stato notificato neppure un avviso di garanzia.
I Pm di Perugia hanno chiesto ai miei avvocati perchè mai mi sono dimesso da ministro della Sviluppo Economico” aveva confidato a Blitz, incominciando a mostrare le carte del suo clamoroso ritorno in pista, dopo quasi otto mesi di silenzio con l’asso nella manica di uno scandalo apparentemente sgonfiato per quel che riguardava la sua posizione giudiziaria. Non certo per quella personale politica: chi dimentica la storia di un ministro “ a sua insaputa” beneficiario di un cadeau da 900 mila euro? C’era una contropartita? Quale?
Navigazione della caravella di Scajola, dunque, verso il centro della Pdl e di tutto lo schieramento politico, tra le tempeste dei finiani, i malumori della pancia berlusconiana, gli strappi di Bondi, le imprudenze di Verdini, coordinatori con La Russa del partito ex azzurro, diventato chissà che.
“Berlusconi è prigioniero” spara Scajola dopo avere buttato sul piatto il mazzo dei suoi senatori e deputati della Fondazione Colombo, iscritti a 10 mila euro cadauno già nell’autunno del 2010, con sede in largo Chigi e l’intenzione di formare gruppi parlamentari autonomi, pronti a gonfiarsi di nomi nuovi. “Nel Pd ci sono almeno trenta senatori e deputati pronti a venire con noi”, conta Scajola, spulciando la Navicella parlamentare nel suo ufficio di Imperia Oneglia.
La sfida dei gruppi autonomi, di un orgoglio azzurro da rivendicare per “liberare” Berlusconi dalla stretta di Tremonti e della Lega da un lato di di La Russa e Verdini dall’altro e per ricostruire un partito strappato il leader di Imperia ora il Claudio di Imperia l’ha portata alle estreme conseguenze, chiedendo un ruolo per se o nel governo o nel partito e andando a bussare ad Arcore, villa san Martino con in tasca qualcosa che assomiglia a un ultimatum. Ma la strategia era pronta da tempo, appunto da quando l’inchiesta di Perugia si era messa bene e l’altra a Imperia, dove l’ex ministro è indagato per associazione a delinquere insieme a Francesco Bellavista Caltagirone nella vicenda della costruzione del nuovo porto di Imperia, stava svoltando in modo favorevole.
Per sei mesi dalla collina della città ligure l’ex pupillo di Taviani aveva seguito da lontano il cataclisma politico intorno a Berlusconi. “E pensare che è incominciato tutto dalla mia vicenda, da quando è venuta fuori la storia della mia casa di via Fatugale e dei 900 mila euro che erano stati pagati a mia insaputa”, ricorda Scajola, elencando i capitoli di quella che secondo lui per la Pdl è stata una via crucis, sfociata nel disagio di oggi, gli attacchi a Bondi, il caso Brancher, lo scandalo Rubacuori, il bunga bunga e tutto il resto, lo strappo di Fini e la resa dei conti parlamentare…
Ma prima di tutto c’era da difendere se stesso dalla accusa di essersi fatto pagare la casa e in cambio di cosa.
E dalla macchia di essere oramai stato bollato come il ministro “a sua insaputa”, che gli comprano una sventola di casa e gliela pagano con 80 assegni da 12 mila euro e lui dice in tv urbi et orbi che non lo sapeva. “Quegli assegni non li ho mai visti, racconta l’ex ministro, e mi sono trasformato in un investigatore per scoprire cosa c’era dietro quella trappola che mi avevano teso. Ho passato l’estate a indagare, ho pagato perfino 10 mila euro una perizia sul valore di quella casa di 180 metri quadrati e sono arrivato alla conclusione che mi hanno fregato o che mi hanno usato per riciclare quei 900 mila euro”, spiega ora. Ma chi lo voleva fregare e come mai ora, passato lo scandalo “a sua insaputa”, è ripartito all’attacco e sfida lo stesso Berlusconi?
Ma con me ci sono quelli che a Berlusconi vogliono bene, minimizza Scajola, dopo il duro faccia a faccia di Arcore. Ci sono i veri lealisti. Io non sono quello che rompe i partiti, io Forza Italia l’ho costruita davvero. E non sono uno che fa le iniziative contro, meno che mai contro Berlusconi. Sono aperto a trovare soluzioni.”
E’ la seconda volta che Scajola e il suo talent scout azzurro Berlusconi, che lo scoprì sulla Riviera ligure nel lontano 1996, si trovano uno davanti all’altro a muso duro negli ultimi tempi. La prima è stata quando è esploso lo scandalo di via Fatugale e Scajola stava dimettendosi. “Potevi dire che non ti ricordavi bene, che ti eri sbagliato, non che non sapevi nulla di quegli assegni, gli aveva urlato Berlusconi. E Scajola di rimando: “Io quegli assegni non li ho mai visti e non so mentire come te.”
Poi Scajola si era dimesso “perchè non sopportavo il massacro mediatico per una vicenda che mi vedeva vittima”, spiega dopo essersi stupito molto del fatto che quel gesto, dimettersi da ministro dello Sviluppo economico, non avesse suscitato nessuna reazione di solidarietà in un paese dove nessuno molla mai niente. Figurarsi uno che non era neppure indagato.
La seconda volta il confronto con il Capo ha un filo conduttore molto più politico, che Scajola rinforza con la sua richiesta personale. “C’è troppo disagio nel partito, incalza, l’amalgama con An non è riuscito, lo strappo di Fini è un fatto troppo rilevante. Non si capisce più niente delle quote di An e di quelle di Forza Italia in questo nuovo partito. Nel popolo azzurro c’è un grande sconcerto. Mica possiamo farci cannibalizzare da quelli di An che hanno una intelaiatura di partito storica e ancora in piedi…”
E’ un attacco frontale a Verdini, un po’ meno all’esangue Bondi e soprattutto è uno schiaffo in faccia a Marcello Dell’Utri, il grande nemico di Scajola, colui che ha firmato il primo pizzino contro l’uomo di Imperia, facendosi intervistare dal Corriere della Sera e dichiarando che “non è più tempo di Scajola, altro che coordinatore unico…”.
Dell’Utri e Verdini non vogliono Scajola di nuovo al centro, né al governo, né al partito.
E Scajola va all’attacco frontale partendo dalla sua storia personale e politica tra successi e scandali, tre volte nella polvere, tre volte sull’altare, come sta scritto nel suo tortuoso percorso di sindaco, parlamentare, ministro, l’unico a dimettersi due volte dal Viminale e da via Veneto. Dagli Interni e dallo Sviluppo Economico.
Ora sta risalendo sull’altare? “Mi hanno sempre bloccato perchè sono uno che lavora, che fa le cose, che agisce, davo e do fastidio”, sibila spiegando le stangate che ha preso.
“Forse mi hanno colpito perchè stavo rilanciando il nucleare con i francesi e non con gli americani”, racconta adesso, spiegando che perfino nelle carte scottanti di Assange e Weekeleeks c’era un rapporto segreto degli americani su di lui. “Me lo ha svelato un anonimo che mi ha telefonato su un numero segreto che nessuno conosceva”, rievoca Scajola raccontando di quel file fatto viaggiare dall’Ambasciata americana al Dipartimento di Stato. “E c’è anche la storia di quel contratto di fornitura del gas che stavo stipulando con la Turchia, che avrebbe risolto i nostri problemi energetici ma che dava fastidio perchè l’avevo affidato alla Montedisono e l’Eni era fuori gioco.”
Il puzzle si ricompone oggi con il ritorno in campo e lo Scajola iper attivo che vuol liberare Berlusconi anche dalla gabbia che gli hanno costruito intorno sopratutto la Lega e Tremonti, altro nemico giurato del parlamentare di Imperia.“Bisogna liberare Berlusconi da quella tela di ragno che lo imprigiona e che gli impedisce di esprimere tutta la sua forza “, dice Scajola, descrivendo un Cavaliere immobilizzato nel partito e ingessato nel governo. Chi se non i lealisti azzurri lo possono salvare? Chi se non lui Claudio, che era stato capace, nel 1997-2000, di trasformare il partito di plastica in un partito vero che disarcionò, con la vittoria alle Regionali, Massimo D’Alema da palazzo Chigi?
Berlusconi ci aveva creduto al ritorno di Claudio e due settimane fa si era dimostrato possibilista in un primo, lungo colloquio. Poi sono arrivate le tramvate di Dell’Utri e Verdini. E allora Scajola, che aveva preparato una fase 1 con un suo rientro in campo a partire da Imperia sull’onda di grande show pubblico, è passato alla fase 2.
La fase 1 partiva dal territorio locale, la fase 2 va al cuore della politica. E usa il tesoretto che Scajola ha messo insieme in questi anni in Parlamento, appunto le decine di senatori e deputati, che si possono chiamare azzurri oppure, “responsabili” e che ora lo mettono in condizione di lanciare un ultimatum: o mi prendete o me ne vado. Ma non vado via da solo.
Con Scajola ora c’è una pattuglia che potrebbe condizionare non solo la maggioranza in Parlamento, ma fare spostare anche l’asse tra i Poli, andando a rinforzare quel terzo Polo di Casini, con il quale lo sfidante di Imperia ha sempre avuto molto più feeling che non con Fini. Navigazione con barra al centro e al timone un pilota che ha preso tante sberle, ma che non demorde e parte di nuovo all’attacco. A meno che, a sua insaputa oviamente, non gli abbiano già preparato un altro sacco.