ROMA – Gli statali non si muovono, una sedia occupano e non la mollano più: solo uno su 100 cambia ufficio nello stesso comparto. Solo uno su mille si trasferisce da un ente a un altro. Sono i dati dell’Aran (agenzia per la rappresentanza negoziale nella pubblica amministrazione) a rivelare la sostanziale inamovibilità del dipendente pubblico, peraltro in questo momento in apprensione per i tagli al personale previsti dalla spending review che incideranno sul personale di ministeri, enti locali, società partecipate.
Se l’Aran ha stimato in 1600 euro il sacrificio dello statale in termini di perdita di potere d’acquisto con il blocco delle retribuzioni esposte all’erosione dell’inflazione, è la stessa agenzia a sottolineare un tratto abbastanza conosciuto dell’organizzazione del personale pubblico. In buona sostanza, l’inamovibilità dello statale non è un mito. E’ piuttosto un tabù, quello dell’impermeabilità ai trasferimenti, che il Governo sta cercando di rimuovere. Nel caso dei risparmi promossi nella P. A., il grimaldello della mobilità coatta servirà ad evitare i licenziamenti, insieme a prepensionamenti e scivoli.
“E’ difficile non vedere il completamento professionale che si potrebbe ottenere se a una esperienza lavorativa in una amministrazione locale seguisse, ad esempio, quella in una amministrazione centrale e viceversa”, dicono gli esperti dell’Aran. Ma, alla luce dei numeri esibiti, lo dicono con profondo scoramento. Peraltro la maggior parte dei trasferimenti avvengono in regime di migliori condizioni economiche e verso posti di assoluto prestigio e vicinanza con il potere reale. Mèta più gettonata è la Presidenza del Consiglio con 192 entrate e 5 uscite, con oltre 53.000 euro annui contro i 34.000 della media.