ROMA – È un percorso di guerra, saranno i 35 giorni più tristi del quasi ventennio da quando Silvio Berlusconi andò a nozze con il paese chiamato Italia, era l’inizio degli anni novanta del secolo scorso…
Il nove febbraio 2011 la Procura di Milano chiede processo a carico di Berlusconi per “concussione” e “prostituzione minorile”. Il giudice per le indagini preliminari entro cinque giorni, ma può prendere più tempo, deciderà se dire sì alla richiesta di “rito abbreviato”, cioè al processo che si celebra appena possibile perché c’è “evidenza di prove”. Se la risposta del Gip sarà sì, il processo partirà entro marzo/aprile e saranno udienze in cui sfileranno a testimoniare soprattutto prostitute: una tortura per l’Italia prima ancora che per l’imputato.
Il nove febbraio il premier in carica dichiara: “È uno schifo, farò causa allo Stato”. Se mai ci sarà, questa causa sarà probabilmente la prima al mondo in cui un capo di governo chiede la pubblica punizione di un potere del suo stesso Stato. Punizione a cui il governo lavora anche con una legge in cantiere. Una tortura per l’Italia prima ancora che per i giudici da punire.
Il nove febbraio il maggiore e più importante alleato politici e di governo del premier, Umberto Bossi, dichiara: “Le cose le ha fatte lui, mica io… se Berlusconi sta lì è perchè ci sono delle colpe di tutti, ma il Parlamento si è espresso a maggioranza assoluta… i giudici non rispondono più a nulla, attaccano e si va verso la guerra totale”. Bossi è ministro della Repubblica oltre che leader del partito che tiene in piedi il governo, la sua visione e lettura dello Stato e delle leggi è quella che “chi ha fatto le cose” se votato dal Parlamento è immune dalle conseguenze delle “cose fatte”. La sua previsione e analisi è quella della “guerra totale” tra magistratura e Parlamento, una musica che è appena una tonalità sotto il suono della guerra civile.
Il nove febbraio Berlusconi ripete: “Non c’è concussione, mi sono mosso per evitare un incidente diplomatico internazionale”. Dunque giura che quella notte delle telefonate in Questura a Milano sinceramente credeva che Ruby fosse la nipote di Mubarak. E’ la tesi votata a maggioranza quasi piena dall’aula della Camera dei deputati. La tesi secondo la quale il premier è così ingenuo e sprovveduto da farsi ingannare da una ragazza scappata di casa e ospitata più o meno per caso a casa sua. La tesi che non spiega perchè la “nipote di Mubarak” sia stata affidata alla Minetti e poi alla brasiliana Michelle e non all’ambasciata egiziana. La tesi che non spiega perchè nessuno dalla Questura telefonò al premier per rassicurarlo che nessun incidente internazionale poteva avvenire dopo aver accertato che Ruby era marocchina e per niente nipote. La tesi che ignora la domanda sul perchè mai non fu lanciato un ovvio “falso allarme” che avrebbe fatto indubbio piacere a un premier in ansia per il rischio di “incidente diplomatico”. Una tesi che è una tortura per il buon senso elementare, perfino per la dignità intellettiva di chi “deve” crederci.