Una nuova polemica si è accesa sul regolamento applicativo della par condicio varato dalla Vigilanza Rai che “ingessa” gli approfondimenti televisivi sottoponendoli alle regole della comunicazione politica.
Anche la Fnsi (Federazione Nazionale Stampa Italiana) con il suo segretario Franco Siddi e l’Usigrai (Unione Sindacale Giornalisti Rai, che della prima costituisce organismo di base tra i giornalisti del servizio pubblico radiotelevisivo) con il suo segretario nazionale Carlo Verna adesso fanno sentire la loro voce con un esposto al Presidente dell’Agcom Corrado Calabrò.
La Fnsi e l’Usigrai hanno nei loro statuti il compito di difendere gli interessi morali e materiali dei giornalisti, in coerenza con i principi costituzionali di libertà, pluralismo e completezza dell’informazione, ma anche “l’obiettivo di contribuire alla qualità del prodotto e alla tutela degli utenti del servizio pubblico radiotelevisivo”.
Le decisioni della Rai sulla sospensione dei talk-show politici (Porta a Porta, Annozero, Ballarò, L’Ultima Parola), che ha applicato “in maniera pedissequa il disposto del Regolamento della Commissione parlamentare di Vigilanza, ad avviso delle scriventi organizzazioni illegittimo per contrasto con la legge (ma esteso dall’Agcom unicamente per un principio di equilibrio del sistema), producono un riverbero pesantemente negativo sia nei confronti dei giornalisti che degli utenti-cittadini”, si legge nel comunicato.
“La conferma della saldatura fra le due cose è nei dati di ascolto degli ultimi giorni. A fronte di giornalisti cui è stato tolto il diritto a svolgere il lavoro professionale, manifestando così liberamente il loro pensiero, c’è una vastissima platea di utenti, rimasti senza approfondimenti informativi importanti e che disorientati hanno rinunciato a sintonizzarsi sulle reti Rai. Di qui, peraltro, anche un danno a catena con ulteriore indebolimento economico di un’azienda che ha già ipotizzato di rinunciare ad alcune funzioni (taglio di cinque sedi estere di corrispondenza e di Raimed) e che finirà, così continuando, col penalizzare ulteriormente dipendenti e utenti”.
Per queste ragioni la Fnsi e Usigrai si sono rivolte all’Agcom, Autorità di Garanzia nelle Comunicazioni, “perché garantisca ai cittadini che pagano il canone una adeguata quantità di informazione. I rappresentanti dei giornalisti chiedono all’Autorità di “sollecitare la Rai ad una radicale revisione della decisione adottata a maggioranza dal Consiglio di Amministrazione nella seduta di lunedì 1 marzo 2010”.
Il sindacato dei giornalisti reputa “gravissima la sospensione dei programmi di approfondimento politico: in stridente contrasto con gli obblighi derivanti dal Contratto di Servizio, la Rai fornisce in questi giorni ai suoi spettatori repliche di film e telefilm, con una sottrazione di informazione che è tanto più negativa in periodo elettorale”.
I giornalisti evidenziano che la decisione Rai “va ben oltre il contenuto del Regolamento votato dalla Commissione di Vigilanza sulla Rai il 9 febbraio, come confermano ripetute dichiarazioni dello stesso relatore del provvedimento, Marco Beltrandi; né l’art.9, comma 3, (“le Tribune politiche sono collocate negli spazi radiotelevisivi che ospitano le trasmissioni di approfondimento informativo più seguite, anche in sostituzione delle stesse, o in spazi di analogo ascolto”) può essere interpretato come se stabilisse l’obbligatorietà della sostituzione anziché la sua mera eventualità, se si vuole far salva la compatibilità del Regolamento con il più generale quadro normativo in materia.
La Fnsi sottolinea che il Regolamento varato dalla Vigilanza, al quale la maggioranza del CdA e il Direttore Generale della Rai hanno inteso richiamarsi, “è a sua volta in contraddizione con la legge sulla par condicio nel punto decisivo della sottomissione delle trasmissioni di informazione alle regole proprie della comunicazione politica: come sa bene la stessa Rai, che nella circolare inviata dall’Ufficio Affari Legali in data 15 febbraio 2010 a tutte le strutture aziendali parla, a proposito dell’art.6, comma 4, del Regolamento come di “norma di dubbia compatibilità con l’art. 2, comma 2, ultimo periodo della l. n. 28 del 2000, come interpretato anche dalla Corte Costituzionale con sentenza n.155 del 2002”.