ROMA – Dopo le sorprese in Puglia, a Milano e a Firenze, anche le primarie del centrosinistra a Torino sembrano destinate a riservare sorprese. Nel capoluogo piemontese, roccaforte del centrosinistra da vent’anni, il candidato eccellente Pietro Fassino, ex ministro ed ex segretario dei Ds, investito addirittura dal sindaco uscente Sergio Chiamparino, potrebbe essere insidiato da un putsider: Dacide Gariglio.
Quarantatré anni, ex amministratore delegato dell’Azienda dei trasporti torinesi (Gtt), oggi consigliere regionale del Pd, Gariglio, come sottolinea Luigi La Spina sulla Stampa, si è fatto rappresentante della “voglia di cambiamento, sia nei confronti della vecchia dirigenza ex comunista, dominante nella politica della città, sia nei riguardi dei potentati economici e culturali subalpini, legati in vario modo alle giunte Castellani e Chiamparino”.
Differente da Fassino in tutto, Gariglio. Sin dalla presentazione pubblica: a quella di Fassino c’erano l’ex presidente del Consiglio di gestione di IntesaSanpaolo, Enrico Salza, patron delle scelte per i passati sindaci, il presidente della Compagnia di San Paolo, Angelo Benessia, l’ex amministratore Fiat, Paolo Cantarella, il presidente del gruppo “Espresso”, Carlo De Benedetti, i vertici dei teatri Regio e Stabile, Walter Vergnano e Evelina Christillin, il numero uno della Fiera del libro, Rolando Picchioni. Al debutto di Gariglio hanno assistito invece “semplici cittadini”
Non solo: Gariglio non ha risparmiato accuse al rivale: ”Fassino continua a dire che sono aggressivo e che non sarei affidabile. Io ho fatto delle valutazioni politiche, ma non ho mai usato toni così offensivi nei suoi confronti. Questo purtroppo dimostra che si muove con la logica della politica fintamente democratica, che si dipinge aperta e poi non accetta il libero confronto”.
”Fassino – ha detto ancora Gariglio – non accetta che qualcuno possa avere posizioni e idee diverse dalle sue. Gli chiederei di non demonizzarmi, ma di cercare di confrontarsi con me. Per essere un politico di consumata esperienza mi pare un po’ troppo reattivo. Per governare c’è bisogno di maggiore pacatezza, di capacità di ascolto e di confronto. Per me parlano cinque anni di esperienza da presidente del consiglio regionale del Piemonte, dove ho sempre cercato di favorire il dialogo e costruire soluzioni condivise, tanto che a metà mandato sono stato rieletto con la più alta percentuale di voti mai ottenuta in una assemblea legislativa regionale. Ma tutto questo è politica politicante, e noi per fare vincere il centrosinistra dobbiamo parlare alle persone. E’ quanto sono impegnato a fare, e non ho intenzione di farmi trascinare in ‘baruffe chiozzotte’ e polemiche”.
”Il futuro di Torino dipende anche dai residenti stranieri, dei quali vanno compresi i problemi, e che devono essere incoraggiati a partecipare attivamente alla vita della città. A Torino ci sono 125 mila stranieri residenti su 908 mila abitanti, il che significa una persona su otto. Non si può pensare di avere un progetto per la città senza comprendere i problemi di questi nuovi torinesi. Ritengo che dobbiamo fare in modo che queste persone si appassionino al tema del futuro della città, perché tocca le loro famiglie come le nostre. Parlando con gli immigrati residenti a Torino ho capito che c’è gente che ha gli stessi nostri problemi, con in più le difficoltà di chi sta fuori dal proprio paese. Come gli italiani, anche loro risentono della crisi, e il problema più grande resta sempre quello del lavoro. Agli stranieri che ho incontrato ho cercato di spiegare che i partiti del centrosinistra danno loro per prima volta l’opportunità di votare, senza alcuna formalità. Ho cercato di comunicare il messaggio che il futuro di Torino è anche nelle loro mani, e ho visto che c’è attenzione”.
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