L’elezione di Andrew Cuomo a governatore di New York fa ufficialmente entrare i Cuomo nella storia delle dinastie politiche americane. Il padre di Andrew, Mario, ebbe la medesima funzione dal 1983 al 1995, fu il primo italo-americano a ricoprire l’incarico, e fu talmente popolare che a lungo si parlò di una sua possibile candidatura alla Presidenza degli Stati Uniti.
Le dinastie, nell’Europa dell’Ancien Régime, e anche tuttora, si alleano tramite matrimoni. I Cuomo non fanno eccezione e sono imparentati con la dinastia americana per eccellenza, i Kennedy. Andrew ha sposato Kerry, la settima figlia di Robert Kennedy, con cui è rimasto sposato fino al 2003, quando hanno divorziato in seguito al tradimento di lei riportato dalla stampa scandalistica.
L’ascesa di Cuomo, cresciuto tra le sfere alte della politica, tra il ricordo dei Kennedy e le conoscenze di suo padre, era prevedibile ma non scontata. Andrew si è dovuto fare le ossa ed è incorso in una pesante sconfitta che avrebbe potuto bruciare definitivamente le sue aspirazioni. Nel 2002 cercò già di farsi nominare candidato governatore dal partito Democratico, ma non riuscì a imporsi su Carl McCall, il quale, a sua volta, perdette contro il repubblicano Georges Pataki.
Sorprendendo politici e giornalisti, Cuomo non si ripresentò alle primarie del 2006 ma si candidò, e vinse, all’elezione di Procuratore Generale. Da questa posizione di delicata importanza e sufficientemente mediatica, Andrew è riuscito a imporsi come una figura di primo piano nel panorama politico di New York. La definitiva consacrazione di Cuomo nella funzione di governatore segna oggi la restaurazione della dinastia nei piani nobili dello stato americano.
La vittoria del figlio di Mario era una vittoria annunciata. Lo score finale è un verdetto senza appello. Lo smottamento del consenso democratico, comune a tutti gli stati, qui non è avvenuto. Il partito dell’asino ha sorpasso il Great Old Party di ben venti punti.
I repubblicani non disponevano di una figura carismatica per contrastare il figlio d’arte. Ad opporsi al democratico è stato Carl Paladino, un personaggio discretamente chiassoso che si è presentato ai raduni elettorali con una mazza da baseball. Paladino, immobiliarista di Buffalo, supportato dai Tea Party, ha tentato, grazie a una retorica brusca e a modi spicci, di dinamizzare il popolo repubblicano. Così non è stato, e Paladino si è maldestramente impantanato in inutili controversie.
La battaglia politica è stata, come sempre in America, supportata da un apparato finanziario di proporzioni mastodontiche. Per la campagna dei democratici sono stati spesi qualcosa come venti milioni di euro, mentre i repubblicani sono riusciti a racimolare “solo” otto milioni di euro.
Andrew ha già fatto sapere che per lui la vera sfida non fa che cominciare. Si tratta, adesso, di riformare, il complicato sistema di potere che presiede al funzionamento dello stato di New York. una complessa macchina che ha la sua sede nella città di Albany, diventata nel tempo sinonimo di malversazione, tangenti, corruzione.