La Cambogia, il cui primo ministro Hun Sen è un ex khmer rosso legato, come la famiglia reale dei Sihanouc, alla Cina, vicino ingombrante, ha deciso di rimandare in Cina venti uighuri che sono fuggiti dopo le violenze interetniche del luglio scorso e che hanno chiesto asilo all’ Onu e il riconoscimento dello status come rifugiati politici.
Venti componenti del gruppo originario di 22 profughi uighuri sono detenuti e verranno esplusi nelle prossime ore. L’ espulsione è motivata dalla circostanza, ha detto un portavoce del ministero degli esteri di Phonm Penh, che sono entrati nel Paese “illegalmente”. Gli altri due sono “introvabili”, ha aggiunto il portavoce. Gli Stati Uniti e l’ Onu hanno chiesto al governo cambogiano di sospendere la deportazione degli uighuri. Kitty McKinsey, portavoce dell’ Alto Commissariato per i Rifugiati dell’ Onu (Unhcr) di Bangkok ha affermato che la “valutazione” della richiesta dei fuggitivi è ancora in corso. “La notte scorsa – ha precisato – l’Unhcr ha inviato un messaggio al governo cambogiano, chiedendogli di rinunciare alla deportazione e offrendo la nostra assistenza per risolvere il problema”.
Un portavoce dell’ Ambasciata americana di Phom Penh ha detto che Washington è “profondamente turbata” dalla decisione del governo cambogiano, e che gli chiede di “tenere fede ai suoi impegni internazionali”. I gruppi umanitari ricordano che la Cambogia ha firmato la Convenzione sui Rifugiati del 1951, in base alla quale i profughi non possono essere rimandati in un Paese nel quale potrebbero essere perseguitati. In un documento diffuso oggi l’ Associazione degli Uighuri in America (Uaa), un gruppo di esiliati guidato dall’ ex-imprenditrice ed ex-detenuta politica Rebiya Kadeer, ricorda che 17 condanne a morte – 16 contro uighuri, una contro un cinese – sono state emesse dalla magistratura cinese per le violenze che si sono verificate in luglio ad Urumqi, nelle quali 197 persone sono morte in scontri tra uighuri ed immigrati cinesi.
Nove dei condannati sono già stati uccisi. Agli imputati, sostiene la Uaa, “…é stato negato il diritto ad un difensore” mentre “a nessun osservatore indipendente” è stato consentito di seguire i processi. Amy Reger, una ricercatrice che lavora per la Uaa ha aggiunto che gli uighuri sono attesi in Cina “…da un destino terribile, forse la morte e probabilmente la tortura”. Reger ha ricordato il caso di un altro fuggitivo uighuro, Shaeer Ali, estradato dal Nepal nel 2002, che è stato messo a morte un anno dopo.
Da luglio il Xinjiang, la regione del nordovest della Cina della quale gli uighuri sono gli abitanti originari, è completamente isolato dal mondo estero. Internet è bloccata, non si può telefonare né ricevere telefonate dall’ estero e dai cellulari, che possono essere usati solo per comunicazioni interne alla Cina, non è possibile mandare o ricevere sms.
La Cina non ha finora commentato la vicenda ma la scorsa settimana una portavoce governativa ha accusato i 22 uighuri di essere “criminali”. Il vicepresidente Xi Jinping arriverà domani in visita in Cambogia, dove imprese cinesi hanno investito negli anni scorsi un miliardo di dollari.
