Digitate i caratteri cinesi per ”carota” nella finestra di ricerca di Google nella Cina continentale, e non vi comparirà sullo schermo una lunga lista di siti internet. Non comparirà nulla, ma non per colpa di Google.
Il problema, scrive il New York Times, è rappresentato dai censori cinesi, che stanno sempre più diventando un modello per quei Paesi del mondo intenti a porre internet sotto controllo.
Da quando lo scorso marzo Google ha traslocato le sue operazioni di ricerca dalla Cina continentale ad Hong Kong, qualsiasi risposta alle ricerche di un cittadino cinese è bloccata dai computer governativi, programmati per censurare qualsiasi informazione proibita che Google possa fornire.
”Carota”- in mandarino “huluobo” – può a prima vista sembrare una parola del tutto innocua. Ma non lo è in Cina, perchè contiene gli stessi caratteri cinesi del cognome del presidente Hu Jintao. E i computer, da tempo programmati per intercettare ricerche in lingua cinese sui leader nazionali, sostituiscono il messaggio “errore” ai risultati della ricerca prima che possano possano intrufolarsi in Cina.
Questa è la macchina della censura cinese, in parte George Orwell, in parte Rube Goldberg: un setaccio per l’informazione di ampiezza e accuratezza sbalorditive, ma pieno di buchi; gestito da schiere di computer modernissimi, ma anche da migliaia di censori del partito comunista, per certi versi altamente sofisticato, per altri notevolmente rozzo.
Ma la costante è la sua sempre più grande importanza. La censura era un tempo l’assonnata provincia del dipartimento per la propaganda del partito, il cui compito principale era di dire ai direttori di giornale cosa potevano pubblicare e cosa no. Ma nella nuova Cina tecnologica la censura è un’industria in crescita, sorvegliata – e contesa – da nientemeno che 14 ministeri governativi.
”Il controllo della stampa si è spostato al centro dell’attenzione – dice David Bandurski, analista al Media Project dell’università di Hong Kong – e internet è il fattore decisivo. E’ il medium che sta cambiando i giochi per il controllo della stampa, e i leader del partito lo sanno bene”.
Oggi, la Cina censura qualsiasi cosa, dalla stampa tradizionale ai siti locali o stranieri; dagli sms dei cellulari ai servizi di social networking; dalle chat rooms online ai blog, ai film, alle e-mail. Censura perfino i giochi online.
La strategia del governo, osserva Bandurski ed altri come lui, non è solo di bloccare messaggi sgraditi, ma di sommergerli con la sua propaganda positiva. E il governo considera benevolmente il tutto ”guida dell’opinione pubblica”. La censura, dice la dirigenza, è cruciale per impedire che la Cina precipiti nel caos e per conservare il monopolio del potere da parte del partito.
”Che noi siamo capaci di affrontare internet è un fatto che riguarda lo sviluppo della cultura socialista, la sicurezza dell’informazione e la stabilità dello stato”, ha detto il presidente Hu nel 2007. Da allora le parole di Hu e la incessante diffusione di internet non hanno fatto altro che rafforzare le barriere della censura.
