IL CAIRO – Con la prima udienza oggi, 5 marzo, del processo contro l’ex ministro dell’interno, Habib El Adly, accusato ufficialmente di riciclaggio di danaro e malversazioni, si è avviato il più ampio processo alla corruzione del regime dell’ex presidente Hosni Mubarak, che ha governato l’Egitto per 30 anni. Ma il deposto rais, del quale dal 25 gennaio i manifestanti hanno chiesto e poi ottenuto la testa, non è ancora indagato.
Vestito con la tuta bianca degli imputati, la testa coperta da un berrettino che gli nascondeva parzialmente il viso e – secondo la descrizione dei suoi avvocati, non essendo consentito l’accesso in aula ai media – notevolmente dimagrito, l’ex ministro si è limitato a rispondere un paio di volte, con calma che i reati attribuitigli ”non ci sono mai stati”.
L’udienza è durata pochi minuti, solo il tempo per consentire alla difesa di chiedere un rinvio necessario a studiare le carte, ma abbastanza per dare ai parenti delle vittime della repressioni contro i manifestanti di piazza Tahrir la possibilità di chiedere ”l’esecuzione dell’assassino”.
Striscioni con il disegno di Adly appeso ad una forca sono stati sventolati con rabbia da alcune centinaia di persone radunate davanti al tribunale, che si sono identificate come ”parenti dei martiri”. I loro avvocati hanno chiesto alla corte indennizzi per 50 milioni di lire egiziane.
Il processo contro El Adly, che è stato aggiornato al 2 aprile, è solo il primo di una serie di azioni giudiziarie annunciate e avviate contro altri ex ministri, come quello del turismo, Zoheir Garana, dell’industria e commercio, Rashid Mohamed Rashid, e dell’edilizia popolare, Ahmed El Maghrabi, mentre per altri è stato deciso per ora di congelare nelle banche i loro capitali e ritirare i loro passaporti, come l’ex ministro delle finanze, Yussed Boutros Ghali, dell’informazione, Anas El Fiki , del petrolio, Sameh Fahmy, e gli ultimi due ex primi ministri, Atef Ebeid e Ahmed Nazif.
L’obiettivo principale della rivolta, però, cioè il maggiore responsabile di un regime che ha consentito a quei ministri di far dilagare la corruzione e il malcostume, il rais Hosni Mubarak, al quale si attribuiscono fortune di dimensioni epocali ancora non è oggetto di azioni giudiziarie. Per i suoi fondi oggi il tribunale penale ha rinviato a giovedì prossimo la decisione se confermare o meno il loro congelamento, e finora gli è solo stato vietato di partire dall’Egitto. Anzi, anche le tribù beduine del Sinai, in una manifestazione attuata bloccando la strada costiera che va dal Canale di Suez a Sharm El Sheikh, dove le autorità egiziane confermano che Mubarak si trova ancora nella sua villa, hanno chiesto che sua moglie e i suoi due figli lascino l’Egitto, ma che l’ex rais rimanga.
Probabilmente solo per avere garanzie che i suoi capitali tornino nella disponibilità degli egiziani, mentre è assai poco probabile che un eventuale processo possa vederlo condannato ad anni di reclusione. Il procuratore generale aveva già reso noto di doverlo interrogare per poterlo rinviare a giudizio, ma certo non lo può convocare in procura come un qualsiasi cittadino.
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