IL CAIRO, EGITTO – Dopo gli sbalorditivi avvenimenti che in Egitto hanno condotto in 18 giorni all’uscita di scena del presidente Hosni Mubarak dopo 30 anni di potere assoluto e l’ascesa dei militari al governo del Paese, la domanda che bisogna porsi é cosa accadrà ora e in un prossimo futuro.
Il presidente americano Barack Obama si è probabilmene lasciato prendere da eccessivo ottimismo quando ha detto che ”è arrivato il momento di una autentica democrazia”, perchè un’autentica democrazia gestita dai militari non ha precedenti che tornano facilmente alla memoria.
Alquanto più fosche le previsioni di Fareed Zakaria, ex-columnist di Newsweek e attualmente direttore itinerante di Time. ”Il rischio adesso è una dittatura militare – dice – e che l’Egitto si trasformi nel Pakistan, una democrazia di facciata dove il potere è in pugno ai generali”. Altri la pensano come lui. Per esempio, a sinistra, Richard Coen del Washington Post, il quale scrive: ”Il sogno di un Egitto democratico quasi certamente si trasformerà in un incubo”.
Concorda Leon Wieseltier, direttore letterario della rivista liberal The New Republic, secondo il quale – in un ripetersi degli eventi iraniani del 1979, quando il regime dello scià fu abbattuto dalla popolazione guidata dagli ayatollah – gli islamisti della Fratellanza Musulmana tenteranno un colpo di mano di stile bolscevico.
Chi invece ha una visione ben diversa del futuro Egitto è Uno dei più ascoltati analisti del Paese, Emad Gad del ”Centro Al-Ahram per gli studi politici e strategici”, che invece crede nell’avvento della democrazia sostenendo che il periodo di transizione verso di essa in Egitto potrebbe durare ”uno o due anni” , e che lo slittamento delle elezioni promesse a settembre sarebbe la soluzione migliore.
”In due anni, l’Egitto sarà un vero Paese mediterraneo, diverso da com’era prima del 25 gennaio. Sarà più simile all’Italia e alla Grecia che alla Libia o alla Siria” . Il motivo per cui la transizione dovrebbe durare così a lungo è che ”non possiamo avere elezioni libere domani. L’unico movimento politico forte è la Fratellanza musulmana, visceralmente anti-americana. La democrazia non si basa solo sulle elezioni libere. Servono l’uguaglianza, il pluralismo, la trasparenza, la rappresentanza popolare. Abbiamo bisogno di due o tre anni per creare un sistema politico civile, mentre oggi abbiamo soltanto caricature di partiti politici” .
Resta da vedere cosa accadrà nei prossimi mesi. ‘In questo momento non c’è Costituzione, non c’è governo e non c’è Assemblea del Popolo”, rileva Gad, che aggiune: ”Il Consiglio militare inizierà a formare un governo di unità nazionale in modo da gestire la situazione. Potrebbero creare un consiglio presidenziale che includa oltre a militari, anche un paio di civili, come Amr Moussa e Mohamed ElBaradei. E istituiranno un’assemblea per redigere una nuova Costituzione. Poi i militari torneranno nelle caserme e indiranno nuove elezioni parlamentari”.
Quanto alle elezioni presidenziali previste a settembre, Gad non pensa che siano ”la scelta migliore se possiamo avere un consiglio presidenziale formato da militari e civili” . Grosso interrogativo è se gli egiziani accetteranno questo ruolo dell’esercito.
 ”La questione più importante in Egitto adesso è la sicurezza” afferma Gad. ”La polizia è stata sciolta, sono stati rilasciati i detenuti, abbiamo vissuto tre settimane di paura. E abbiamo fiducia che i militari possano ristabilire la sicurezza. Abbiamo una nuova generazione laica e liberale che sta festeggiando in tutte le città egiziane la fine di un regime corrotto, e avremo una società forte e laica alla fine del periodo di transizione guidato dai militari” .
Sullo spauracchio della Fratellanza musulmana e del suo fondamentalismo islamico, Gad non crede che essa alle presidenziali otterrà più del 15-20 per cento dei voti. ”Mubarak non permetteva l’esistenza di partiti progressisti e laici— dovevano essere approvati da un organismo da lui controllato — e costringeva il popolo a scegliere tra il suo partito, l’Ndp, e la Fratellanza musulmana, in modo da presentarsi al mondo come l’unica alternativa. Io non penso che la nuova Costituzione permetterà l’esistenza di partiti politici religiosi, altrimenti dovranno consentire anche ai copti di formarli, e il Paese rischierebbe di risultare diviso”.
Gli ultimi 18 giorni in Egitto hanno dimostrato come quasi tutte le previsioni e le analisi degli esperti sembravano sensate al mattino per essere smentite la sera. Esempio eclatante è quello della ”sorpresa Mubarak”: fino all’ultimo tutti pensavano che sarebbe rimasto al potere e invece se n’è andato.
Ora i media internazionali sono molto più cauti con le previsioni. E’ il caso, tra gli altri, del New York Times, che esprime invece una speranza. E cioè che i mesi e gli anni che verranno possano determinare se la rivolta popolare introdurrà ”un nuovo criterio di cittadinanza”, una tregua tra lo stato e gli islamici, una riduzione del potere dei militari e della polizia e un ”ridimensionamento della soffocante burocrazia che ha impedito ai giovani una vita migliore in un mondo arabo che sta diventando sempre più giovane”.
E’ una speranza – ma solo una speranza – che sembra essere condivisa anche dai dimostranti di piazza Tahrir. Ha detto una di loro, Nadia Magdy: ”Non è la fine. E’ il principio”. Se poi le cose dovessero andare diversamente – ha aggiunto – ormai la strada per piazza Tahrir la conosciamo bene”.